“Buono e pietoso è il Signore,

lento all’ira e grande nell’amore.  

Non ci tratta secondo i nostri peccati,

non ci ripaga secondo le nostre colpe.”  

(Salmo 103,8.10.17)

 

Comunemente, di fronte ai fatti della monaca di Monza, si pensa immediatamente a una vicenda di peccato e corruzione.  Questo corrisponde a verità, ma è una verità, per così dire, parziale.

Tutti hanno generalmente in mente la figura di Gertrude presentata nei capitoli IX e X dei Promessi Sposi. Pochi, però, rammentano anche che lo stesso Manzoni nel capitolo XXXVII, seppure con un semplice e un breve accenno, dà notizia della di lei conversione.

Com’è vero che Gertrude si lascia travolgere dal  vortice del peccato, è vero anche che, attraverso  la via della penitenza, ella giunge infine alla redenzione. Eppure, neppure questa breve dichiarazione di finale ravvedimento, fatta dal Manzoni, rende completamente onore a quanto realmente accaduto.

La storia, quella vera, contempla, infatti, una realtà più profonda di quella descritta nei Promessi Sposi. Quella di Marianna De Leyva, poi sr. Virginia (questo il vero nome della Signora), prima ancora che un “caso storico”, è una “vicenda interiore”, che ha come protagonista l’anima di una donna, sr. Virginia Maria De Leyva, appunto, la quale, dopo essere stata costretta a subire l’imposizione di una vocazione monastica, cui non si sentiva minimamente portata, ha sperimentato in sé il dramma, intimo e profondo, di una relazione amorosa tormentata e da lei vissuta in una continua, quanto estenuante, alternanza di passione e rimorso. Se da una parte, infatti, il suo cuore di donna, e di donna innamorata e profondamente riamata, la spingeva tra le braccia del conte Osio, dall’altra, la sua coscienza morale e la consapevolezza della dignità della sua condizione, le creavano continuamente profonde crisi interiori, generando, in lei,  ripetuti propositi di riscatto, i quali, anche se nel successivo “scontro con la realtà” fallivano, nel momento in cui essi erano formulati, erano comunque autentici e frutto di una volontà sincera di ravvedimento. Fu proprio facendo leva su questa generosità d’animo che la Grazia di Dio poté far breccia nell’animo di sr. Virginia e, attraverso lo sconto di una pena severissima, condurla non solo ad una conversione radicale, ma anche ad “oltrepassare la soglia” della vita mistica.

Sr. Virginia Maria, infatti, a metà della sua vita, giunge alla beatitudine della conoscenza di Dio. Il suo, però, è un percorso che molti anni ed alla “vita in Dio”, ella vi giunge solo dopo aver compiuto il “dantesco viaggio” che, attraversando prima “l’inferno” (il baratro di perversione, in cui, la relazione con l’Osio, l’aveva fatta precipitare) e poi il purgatorio (il lungo cammino di interiore conversione compiuto nei quattordici anni di reclusione cui era stata condannata), conduce sr. Virginia alla paradisiaca beatitudine dell’abbandono in Dio. 

Con tutto ciò non si vuole affatto stendere l’agiografia di sr. Virginia Maria, sostenendo che fu immune da ogni colpa. La vicenda peccaminosa fu reale e da lei pienamente vissuta: questo è un dato storico incontrovertibile.



Con questo scritto si desidera solo “alzare un poco il velo della storia” per soffermarsi sulla soglia di un animo umano che, se pur ha sbagliato, ha anche profondamente sofferto e ha trovato in Dio, la forza di rialzarsi dal proprio errore. La storia di sr. Virginia Maria testimonia così quanto è “buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe. Ma la grazia del Signore è da sempre, dura in eterno per quanti lo temono” (Salmo 103,8.10.17).