Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi,

mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba”.

(Salmo 30,4)

 

 

Appena comunicatale la sentenza, sr. Virginia viene immediatamente trasferita a S. Valeria per scontarvi la condanna.

Il Ricovero delle Convertite, situato nei pressi di S. Ambrogio, aveva come scopo il ravvedimento delle penitenti ivi raccolte. Tale fine veniva raggiunto attraverso la severità delle pene e l’austerità della vita. Tra le donne in esso radunate, vi figuravano, come abbiamo precedentemente visto, sia ex prostitute convertitesi o “costrette a convertirsi”, sia aristocratiche o monache ree di gravi crimini.

Il Ripamonti, “data” la conversione di sr. Virginia, fin dall’inizio della sua reclusione al Bocchetto, quando, dopo aver saputo che Gio Paolo aveva fatto fuggire sr. Benedetta e sr. Ottavia dal monastero di S. Margherita ed aveva tentato di ucciderle, profondamente scossa interiormente, aveva immediatamente “mutato contegno e vita”. Scrive infatti: “Intanto anche la Signora, causa prima de’ mali tutti, e già principessa del borgo e del monastero, ora senza onestà, obbrobrio della schiatta sua, esule dal convento, straniera in casa altrui, prigioniera, infame, disperata, forsennata, piena di contumacia e di furia, mostro più tosto che donna, uditi in carcere questi sacrilegi e parricidj, di cui aveva ella fomentato la semente, attonita, stordita, confusa, di repente cangia costumi e l’animo e quasi il corpo”. Si sofferma, poi, il nostro autore, a sottolineare come, l’intervento della Grazia, facendo quasi “irruzione” nell’animo di sr. Virginia, ne abbia provocato non solo il pentimento sincero ma la conversione piena. “ Tanto potè la coscienza! –scrive, infatti - Il generoso spirito che traeva dalla stirpe, e che giacea sopito dall’ozio e dal mal fare, di subito rinacque, e tutte di pio dolore infiammò le parti dell’animo a pianger e detestare i misfatti. Già si potea prevedere ch’ella rinnoverebbe gli esempj di tante anime, che perdute dall’umano errore, sorsero per celeste impeto, ed arrivarono a segno da uguagliar coi meriti e colla grazia appo Dio i petti dalle colpe intatti, le teste ignare del male”.

Un’ulteriore conferma dell’avvenuto ravvedimento, il Ripamonti ce lo fornisce riferendo come, quando, dal monastero benedettino del Bocchetto, “è trasferita in quel luogo (cioè nella Pia Casa delle Convertite di S. Valeria), accoglie questa decisione come un graditissimo dono dicendo di non essere degna di nient’altro che della compagnia delle meretrici, … e che avrebbe annoverato questo tra le pene. E nel pianto è molto lieta della pena come di ogni altra cosa”.Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi, mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba”. (Salmo 30,4), sembra quasi esclamare sr. Virginia, ormai consapevole del baratro di peccato in cui era piombata e desiderosa solo di espiare le sue colpe.

Tra questi “inasprimenti aggiuntivi” della pena comminatale, rientra la “collocazione” della celletta in cui sr. Virginia fu murata poiché, come ci informa il Ripamonti, “subito appena entrata era stata posta in una parte del monastero in precedenza sempre deserta per un disgustoso odore che vi emanava da qualche luogo”.

Le condizioni in cui sr. Virginia, dopo essere stata murata, visse per oltre tredici anni, erano, dunque, al limite del disumano. Non solo, infatti, sr. Virginia si trova costretta in “una cella larga tre braccia, lunga cinque, (ossia, col braccio pari a cm. 0,595: 3 metri per 1,80 ca) con un solo pertugio nella parete che le consente di ricevere il cibo e la luce per recitare il breviario: isolata da tutti e senza alcun conforto umano” (come leggiamo nel resoconto che ci fornisce Paccagnini nell’opera, da lui curata, “Di una verace Penitenza”), ma, stando alla descrizione fornitaci da Mazzucchelli, dobbiamo aggiungere che “la tetra cella di sr. Virginia… è un luogo infetto e buio dove la sventurata e costretta a subire, senza alcuna difesa, i rigori dell’umido e freddo inverno milanese come il soffocante caldo estivo. Scarsa l’acqua per le abluzioni, nutrimento insufficiente e malsano, qualche volta persino ripugnante, nessun abito o indumento di ricambio, nessuna coperta, soltanto un saccone in terra la cui paglia marcisce in due mesi e viene cambiata ogni sei. Le più elementari norme igieniche ignorate di proposito: basti dire (lo sappiamo da memorie di altri prigionieri dell’epoca) che il recipiente delle deiezioni veniva vuotato ogni quattro o cinque giorni, obbligando la reclusa a respirare l’aria più mefitica”.

A questo si assommava il severo “ritmo giornaliero”, imposto a sr. Virginia dalla stessa sentenza emessa nei suoi riguardi: penitenza e preghiera: confinata in uno spazio angustissimo e disagevole, isolata da tutto e da tutti (priva anche di quei “conforti e consolativi parlari” prescritti dalle regole -già di per sé severe- delle Convertite di S. Valeria), senza alcun aiuto o soccorso umano (nei quasi quattordici anni in cui visse “murata”, tutti i disagi, le malattie e le infermità cui andò soggetta, come sr. Virginia stessa attesta in una lettera postuma alla sua carcerazione, furono da lei superati “senza alcun mezzo de huomini “, grazie solo ala “bontà d’Iddio incomprensibile”).

Nell’analizzare la durezza della pena comminata a sr. Virginia, dobbiamo tener presente che, la prassi penitenziale allora vigente, conservando la natura religioso-sacramentale della penitenza, mirava “alla conversione interiore del reo” e, di conseguenza, anche le pene corporali, che sovente venivano inflitte (quali digiuni, discipline e altro), avevano il preciso scopo di emendazione del colpevole, anche attraverso il dolore fisico, in vista della sua salvezza spirituale.

La prassi penitenziale, perciò, non di rado, si esplicava “in una penitenza da espiare in una secreta fino al momento in cui fosse sopragiunto il ravvedimento”.

Dal 1608 -anno della sua reclusione- al 1622 -anno della sua liberazione- nulla sappiamo di lei. Sr. Virginia vive, murata nella cella di S. Valeria, dimenticata da tutti, potendo confidare solo nella misericordia di Dio. Veramente fu solo la Grazia che, sostenendola, le permise di uscire da questa durissima prova della reclusione, sana di mente oltre che convertita.