Alma Francesca Margherita: amatissimo frutto di un amore proibito sr Virginia madre

“ Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre”.
(Salmo 51,7)

 

 

 

La domenica 8 agosto 1606, verso mezzogiorno, sr. Virginia dà alla luce una bambina, la quale, al fonte battesimale, verrà chiamata Alma Francesca Margherita.
Assistono al parto sr. Ottavia, sr. Benedetta e sr Silvia, mentre sr. Candida, anch’essa presente, prega che “tutto si risolva felicemente”.
La bimba nasce e, sebbene sr. Ottavia al processo testimoni che “fu un vero miracolo che la creatura  fosse viva perché, mentre era sr. Virginia era gravida, stette continuamente in letto a prendere medicine”,  è viva e sana, anche se un po’ asfittica a causa di “una cosa al collo nera che le faceva male di modo che non poteva haver il fiato”, come testimoniano sia sr. Benedetta che sr. Silvia. Quest’ultima, poi, precisa che fu grazie al tempestivo intervento di sr Benedetta, la quale “li tagliò un budello che li faceva male et la lavò” che la bimba sopravvisse e non morì soffocata dal cordone ombelicale (la “cosa nera al collo che li faceva male”).  Fu invece sr Silvia che la fasciò “di fasce che sr Virginia aveva fatto fare qui in casa … tagliando di quelle cose che portiamo in testa” Dopodiché “questa putta così fasciata fu portata fuori dal monastero dal’Osio suo padre la notte seguente, et l’altra notte esso ritornando nel monastero la riportò dentro mostrandola ala madre sfasciata quale cridò, dicendo la volete stroppiare questa putta et  riportandola fuori dal monastero disse che la voleva portare a Milano come fece per quanto si disse dove fu battezzata”.
Viene, a questo punto, quasi spontaneo chiedersi: nei confronti di Alma Francesca, frutto della sua relazione con Gio Paolo, quale tipo di madre sr.Virginia Maria dimostra di essere? Il suo rapporto con la figlia è alquanto problematico, ad iniziare dalla sua imbarazzante situazione di “monaca e madre”.
Sebbene all’inizio, quando si era accorta di essere nuovamente incinta, Sr. Virginia aveva tentato di abortire “ingurgitando di tutto un po’”, una volta nata la bambina, in lei prevale l’istinto materno.
Alma Francesca Margherita, sebbene “nella colpa sia stata generata e nel peccato l’abbia concepita sua madre” è una bambina amata, anzi, molto amata, sia dal padre (che, come vedremo, a dispetto di tutto e di tutti, deciderà di tenere in casa, presso di sé, la bambina) sia dalla madre.
Fin da subito, poi, sr. Virginia dimostra di non prendere in alcun conto le dicerie e le chiacchiere  che la gente fa attorno a quella bambina che il conte osio tiene tanto amorevolmente in casa e di cui nessuno conosce le generalità della madre. Sr. Virginia, quando si tratta di vedere la figlia, dimostra di ignorare ogni buon senso, dato che “mandava spesso … a dimandar la balia che li portassi alla porta (del monastero) … Alma Francesca figliola dell’Osio” e ciò accadeva  con una frequenza tale da non poter non “destar sospetto” e alimentare, così, i pettegolezzi: Sr Virginia si fa portare, infatti, la piccola “almeno tre o quattro volte la settimana”, se dobbiamo prestar fede alla deposizione di Giovani Borgomo (uno dei servitori di casa Osio), il quale precisa anche che, quando le veniva portata la bimba, sr. Virgina, “la toglieva in brazzo la basciava gli faceva carezze et (diceva) la mia signora Francesca la mia figliolina la mia puttina e simili parole” e, a sostegno della tesi che, tacitamente o meno, tutti sapevano la piccola Alma Francesca essere figlia di sr. Virginia, aggiunge addirittura che la stessa balia, Apollonia, “quando portava la piccola al monastero, da sr. Virginia, le diceva: andiamo dalla mamma? Vuoi venire dalla mamma?”.
 Ma è credibile ciò? Che in Monza, tutti, ormai, dopo la nascita di Alma Francesca, parlassero dell’amicizia tra sr. Virginia e Gio Paolo, è fuori discussione. La cosa andava avanti da circa 6 anni,  e troppi fatti “compromettenti” erano successi. Ma non dimentichiamo l’influenza che la famiglia De Leyva, esercitava in Monza (ed una simile “chiacchiera”, sul conto della loro congiunta, non sarebbe certamente stata loro molto gradita e, di conseguenza, tanto meno sarebbe rimasta “impunita”) e  “l’irascibilità” più volte dimostrata dall’Osio, anche e forse soprattutto “su questo argomento”.
Sarebbe perciò stato “molto imprudente” e “molto rischioso”, per una persona di servizio lasciarsi andare a simili espressioni.
Le stesse monache del monastero di S. Margherita, le quali a lungo andare non potevano non accorgersi di simili “andazzi”, con tutta probabilità, ufficialmente tacciono e non mandano nessuna denuncia né avviso alle Autorità ecclesiastiche, per questi o simili motivi.
Su questo punto, inoltre, la testimonianza di Apollonia fornisce una versione ben diversa: “Quando portavo la putta al monastero -sostiene lei- dicevo: vuoi che andiamo dalla Signora? Andiamo dalla Signora? Io non dissi mai la parola mamma ne simili …Portavo la putta al monastero perché la vedesse sr. Virginia Maria, perché mi mandava a dire che gliela portassi ed era Isabetta, serva delle monache, ed anche mia madre che me lo dicevano”. Riguardo, poi, a cosa dicesse sr. Virginia ala bambina, nel resto della testimonianza si legge: “diceva sete la mia donnina, non sete la mia donnina? facendoli molte carezze, et s’attristava perché era brutta”.
Di questo dolersi di sr. Virginia per la “non particolare avvenenza” della figlia, le varie testimonianze sono tutte d’accordo e, sempre su questo punto, il suo amore materno sembra quasi “vacillare”, dato che ella arriva a dubitare che quella sia realmente la bambina da lei partorita proprio perché “bruttina”. “Detta putta – ammetterà al processo – io l’ho vista più e più volte se pure è quella che io partorij … se bene a me non pareva in modo alcuno che fosse quella che havevo partorito”.
Sr. Costanza, interrogata al processo come tutte le altre monache, aggiunge che, “quella pupa … ultimamente pareva che le fosse venuta a noia”. Nel considerare questa dichiarazione, dobbiamo, però, tener presente, oltre che il rapporto, piuttosto ostile, che sr Costanza aveva con sr.Virginia (e di conseguenza il dubbio che, simile affermazione, più che “una “verità oggettiva” sia “una voce malevola”, è più che legittimo), anche il fatto che, sr. Virginia, abbia potuto provare “un certo senso di noia”, nei confronti di Alma Francesca, non tanto per la bambina in sé (che tra l’altro, mostra di amare) quanto per le dicerie e i pettegolezzi, divenuti, nel frattempo, piuttosto “pesanti ed insistenti” e che circolano ormai in tutta Monza. La semplice presenza della piccola Francesca in casa Osio, unita alla frequenza con cui la bimba viene portata, della balia di turno, in visita a sr. Virginia al monastero, “testimoniava” tacitamente, la veridicità e la fondatezza di simili “discorsi popolari” ed è quindi giocoforza normale che, l’insofferenza di sr. Virginia verso tale situazione, possa essere facilmente scambiata (soprattutto da chi è già propenso a vedere il negativo in una persona) per insofferenza verso la bambina.
Ma, l’amore materno, in sr. Virginia, a nostro giudizio, prevale, anche “su tutto ciò che gli altri possono dire”. È così che ella, contrariamente ad ogni “buon senso” ed elementare “norma di prudenza”, conserva presso di sé, tanto l’attestato di Battesimo quanto l’atto di legittimazione della figlia (documenti per lei alquanto compromettenti ed “espliciti”, qualora fossero stati trovati). Inoltre, non solo insiste per vedere “detta putta più e più volte”, facendosela portare al monastero con una frequenza “più che sospetta”, ma anche -come testimonia sr. Benedetta – va “diverse volte a casa di Gio Paolo Osio la notte e stava fino alli mattini di Carobbiolo e quando volea tornare nel monastero tirava una cordetta che rispondeva dalla loggia vicino al granaro del monastero nel giardino di detto Osio, et a detta cordetta era attaccato un sonaglio quale suonando era l’aviso  d’andare a ritorre sr. Virginia Maria, quale cominciò andare in casa di detto Osio da tre anni in qua circa doppo che hebbe fatto la putta et ci è andata in diversi tempi non saprei dire la quantità delle volte, et ci andava vestita del suo habito da monaca accompagnata dal detto Osio che la stava aspettando alla porta”.
Se non fosse una testimonianza processuale, con ogni probabilità, difficilmente si sarebbe propensi a credervi, dato che ciò ha veramente dell’inaudito. Il suono di un campanellino, nel silenzio notturno, nella tranquilla Monza del seicento, era sicuramente udito … non solo dalle compiacenti amiche della Signora. Eppure sr. Virginia, pur di vedere la sua bambina (perché questo è l’unico scopo per cui viola la clausura e si reca in casa Osio, trattenendovisi, poi, “fino alli mattini di Carobbiolo”), osa sfidare “tutto e tutti”, abbandona ogni pudore e prudenza e … “va dove la porta il cuore”.
Questo, oltre a certificare l’indubbio amore di sr. Virginia verso la sua creatura, testimonia, però, anche che, a questo punto della “storia”, la relazione era talmente nota, tanto dentro quanto fuori delle mura claustrali, che le “misure precauzionali” sembrano, ai due amanti, ormai superflue, portandoli, così ad osare… “oltre misura” e ciò, come vedremo, costerà loro, molto caro.