Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,

un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi”.

(Salmo 51, 19)

 

 

Il 25 settembre, dopo oltre tredici anni di quella che potrebbe tranquillamente essere definita un’ “inumana segregazione”, Sr. Virginia Maria viene liberata, su decisone del Card. Borromeo.

Riguardo alla vita di Gertrude (la “personificazione” letteraria della nostra sr. Virginia) successiva al ravvedimento, il Manzoni, nei Promessi Sposi, aveva pudicamente riassunto tutta la vicenda della condanna e della conversione, in alcuni, brevissimi, accenni: “La sciagurata, - scrive - caduta in sospetto d’atrocissimi fatti, era stata, per ordine del Cardinale, trasportata in un monastero di Milano; che lì, dopo molto infuriare e dibattersi, s’era ravveduta, s’era accusata; e … la sua vita attuale era supplizio volontario tale, che nessuno, a meno di non togliergliela, ne avrebbe potuto trovare uno più severo”.

Infatti, anche dopo la liberazione, “Ella – ci informa il Ripamonti – continuava ad abitare l’oscuro sozzo ed appartato bugigattolo, cui niuno aveva occupato avanti a lei, a ragion delle tenebre, e del puzzo che lo rendevano stanza non accettabile da creatura umana”.

Il Ripamonti ci dà notizia anche della mirabile conversione avvenuta nell’animo delle suore che erano state amiche e complici della Signora annotando che “Nè meno stupendi segni d’animo tocco dal Cielo e convertito aveano date quelle, pel cui successo erasi costei convertita. Chiesero tosto d’essere nascose, menate via e rinchiuse, dove nè fossero da alcuno più vedute, nè esse vedessero più la luce”. … “trassero la restante vita, si che fu talora mestieri frenarne il rigore e l’asprezza colle leggi dell’obbedienza. Sole, rinchiuse, non prendeano cibo che forzate o comandate: non poteasi indurle a veder luce: non parlavano che per detestar le colpe: in sospiri e lacrime abbondavano: fra il salmeggiare e il pregare le avresti udite gemere profondo, ed era l’aspetto loro quali ritratte in tele si vedono le effigie degli antichi anacoreti.”

Dunque, sia sr. Virginia sia le sue amiche, pentite dei crimini commessi, vivono ora una vita di penitenza e di preghiera, consapevoli che Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato” (salmo 51, 19) è sacrificio gradito a Dio.

Ma quell’altra -prosegue il nostro autore, evidenziando la radicalità della “vita penitente” condotta da sr. Virginia e la profondità della sua conversione- prima per natali e per gravezza di colpa, poi per gloria di conversione e di penitenza, non più asciugò gli occhi dal pianto. Che se ebbe comune coll’altre due il silenzio e la vergogna della luce, pel dono celeste delle lacrime le precedette di lunga mano. Tal era la forma della vita, tale l’indole della penitenza, che le stesse ospiti alla cui custodia era stata commessa, vedendo sì gran mutazione d’animo, sebbene non ignorassero onde fosse derivata, pure non cessavano dallo stupore perché in quella contrita ogni cosa di repente aveva ecceduto la misura dell’umana meraviglia”.

Così “la Signora, “spettabile per santità”, visse gli anni rimanenti della sua esistenza, “curva, vecchierella, scarna, macilenta, venerabile, cui difficilmente, a vederla”, a malapena si riesce a pensare “che sia stata tempo bella ed inonesta”.

Dopo aver sottolineato che sr. Virginia, come abbiamo già detto, “come di un’altra penitenza, assai tra il pianto rallegrossi perchè, al primo entrare, vi fu allogata in parte deserta sempre per la puzza, ove sin all’estremo durava fuggendo la luce, aborrendo da ogni parlare”, il Ripamonti ci sottolinea che ella “rompeva” questo suo silenzio, solo per esternare il profondo ed unico desiderio del suo animo. Infatti “per alcuni arcani suoi, e per certi scrupoli entratile in mente, si struggeva, dal desiderio d’abboccarsi col cardinale. Poiché … appena, sgombro l’animo dalla caligine, potè vedere da che sozzura fosse uscita, s’accorse a cui principalmente dovesse sua salute: e volta la rabbia in venerazione e pietà, lo teneva in se stessa a luogo di padre, e più che uomo per grandezza di virtù e di sapere. Onde, supplicando quanto sapea caldamente la badessa e le monache perchè non le lasciassero inadempiuto questo suo desiderio, le avvertiva che per questo solo avea rotto il silenzio, del resto giaceva in pianti, e immersa nelle meditazioni, non altrimenti che se fosse priva di lingua. Il che vedendo e udendo le monache, finalmente concertarono di far sapere al cardinale come importasse alla salute della ricoverata ch’egli stesso venisse a parlare, e porgere un tratto orecchie a che volea dire”.