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“Ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa”.
(Salmo 55, 15)

 

 

Sr. Benedetta, al secolo Giulia Girolama Homati Vimercati, ha la medesima età di sr. Virginia ed è a lei legata da una sincera amicizia. Era entrata con lei in monastero, avevano vissuto insieme il periodo del noviziato ed insieme avevano fato la Professione Religiosa. “Ci legava una dolce amicizia – avrebbero potuto dire a commento di quei primi anni di vita monastica - verso la casa di Dio camminavamo in festa”. (Salmo 55, 15).
Poi, però, nella vita di sr. Virginia, era entrato Gio Paolo Osio e il comportamento di sr. Virginia era mutato,  travolto dalla tormentata passione per il giovane conte.
Anche di fronte a questo mutamento radicale, sr. Benedetta, pur non condividendo la situazione, restò amica di sr. Virginia, lasciandosi anche coinvolgere nella tresca affettiva, coprendola e divenendo, così, sua complice.
Dagli atti del Processo, veniamo a sapere che è a sr. Benedetta che l’Osio, fuggiasco, si rivolge, tramite un suo servitore, per avere notizie di sr. Virginia  ed è lei che, scrivendogli un biglietto di risposta, in cui lo informa  “che sr. Virginia era stata condotta  via” ma non sapeva dove, aggiunge “che vedendo queste cose che si facevano”, cioè gli interrogatori alle varie suore che il Vicario Criminale aveva iniziato, desiderava fuggire “da quel monastero et andar in un altro monastero”,  e per questo chiedeva aiuto all’Osio, “con dirli che a tre o quattro hore venisse alla muraglia del giardino” per parlare  “circa l’andar via, et esser condotta in un altro monastero”  ed è, infine, sempre lei che, ignara di quale piano abbia realmente l’Osio nei loro confronti, su suggerimento dello stesso Osio, convince anche sr. Ottavia ad andar via con loro.
Dopo essere stata tratta in salvo dalla gente di Velate, interrogata dal Vicario criminale sul perché si trovi fuori dal suo monastero, racconta  le varie fasi della sua fuga (accompagnata dall’Osio e da sr. Ottavia), il tentato omicidio di sr. Ottavia, perpetrato dall’Osio (col gettarla nel Lambro e col colpirla ripetutamente con l’archibugio) e narra, nei dettagli, anche il tentativo, attuato sempre da Gio Paolo, di uccidere anche lei, gettandola nel pozzone di Velate. Rivela, inoltre,  che, ”portata su una cadrega a casa del signor Albrigo… una gentildonna che al vestito mi parse vedova sendo vestita di negro non molto vecchia mi invitò farmi portar a  casa sua persuadendomi et insinuandomi che io dicessi che da me stessa m’ero gettata in quel pozzo”. Ma sull’identità delle suddetta “gentildonna” resta il mistero, sebbene qualcuno supponga che possa essere la stessa madre dell’Osio.
Nel rispondere al perché pensa che l’Osio le abbia chiesto informazioni su sr. Virginia risponde, con molto tatto e delicatezza, che “Gio Paolo Osio procurò di sapere dove fosse detta suor Virginia Maria per essere sua amica cioè che si volevano bene insieme”, dimostrando di avere rispetto e affetto per sr. Virginia, nonostante quanto sia poi accaduto. Rivelerà i particolari della “scabrosa vicenda” solo nelle risposte successive, rispondendo alle domande precise, postele dal Vicario criminale.
Nel suo costituto non tralascia di sottolineare che, ella, pur assecondando e aiutando sr. Virginia ad incontrarsi con Gio Paolo, qualche volta, faceva notare a sr. Virginia, la peccaminosità della sua situazione invitandola ad interrompere la relazione anche se sr.Virginia, all’epoca avvinta dalla passione per Gio Paolo, non solo non prestasse orecchio a simili consigli, ma anche se ne mostrava infastidita.  
Testimonia infatti che l’Osio “sempre dormiva con suor Virginia Maria, alla quale io dicevo qualche volta che faceva male et essa ci minacciava con dire che attendessimo a fare li fatti nostri”.
Sr. Benedetta comunque, anche se “all’atto pratico”, asseconda ed aiuta sr. Virginia, non desiste dal far notare, almeno di tanto in tanto, a sr. Virginia le sue responsabilità.
Quando sr. Virginia restò gravida la seconda volta, ad esempio, “ch’havea la panza grossa, et mostrava d’haverne infinito dispiacere”, ella le disse senza mezzi termini :”vostro danno, havete voluto così”, dimostrandosi, sì complice, ma, almeno sotto un certo aspetto, anche “amica”
La testimonianza di sr. Benedetta è preziosa anche per comprendere quale fosse il tenore della vita spirituale all’interno delle mura del monastero di S. Margherita.
Dalla sua deposizione, infatti, veniamo anche a sapere che “nel tempo che detto Osio  stette nel monastero noi (si riferisce sicuramente a lei stessa, a sr. Virginia, a sr.Ottavia, ma, con tutta probabilità, anche a sr. Candida e a sr. Silvia) qualche volta andavamo al mattutino altre volte non” e che, in detto tempo, “non ci comunicassimo alcuna di noi perché avevamo introdotto ne monastero detto ’Osio”. Ben cinque suore non partecipano al Coro e non si comunicano (adducendo la scusa di “non sentirsi bene”, come veniamo a sapere dalla testimonianza di Madre Imbersaga, allora Superiora), eppure la cosa non sembra “strana” a nessuna, e nessuna sembra preoccuparsene. Segno questo di un clima piuttosto lasso e decaduto.
Anch’essa, come sr. Ottavia, termina la sua deposizione soggiungendo: “queste cose tutte le ho dette per scarico della conscientia mia sendo vere e ritrovandomi in questo stato di pericolo di vita”