Prete Paolo Arrigone

“Tu preferisci il male al bene, la menzogna al parlare sincero”.

(Salmi 52,5)

 

 

 

Prete Paolo Arrigone è il personaggio più abbietto e subdolo di tutta la vicenda. Egli gioca, nella relazione di sr. Virginia con Gio Paolo, un ruolo di primo piano: amico e confidente dell’Osio, è il vero autore di tutte le lettere d’amore che quest’ultimo invia a sr. Virginia; è suo il Graffio, il libro che “tratta di casi di coscienza e di penitenza”, grazie al quale, sostenendo che “qual libro conteneva… che non era scomunica a lui l’entrare nel monastero ma bene era la scomunica alla monaca all’uscire dal monastero”, l’Osio convince sr. Virginia a lasciarlo entrare nelle sue stanze ed è sempre lui che, compiendo una pratica magica (atto ritenuto al limite dell’eresia, che implicherà, in fase giudiziaria, l’intervento del S. Uffizio), “battezza” la calamita con cui l’Osio cercherà di “legare a sé” sr. Virginia. Non ha neppure alcuna direttiva morale. Non si fa, infatti, nessuno scrupolo nel tentare alcune monache del monastero, nell’intessere, con sr. Candida non essendovi riuscito con sr. Virginia, una relazione “impudica”;nel vivere con una domestica che le fa anche da amante e, come se ciò non bastasse, nell’insidiare varie fanciulle in confessione (come veniamo a sapere dalla  fatidica quanto “furibonda” lettera, scrittagli da sr. Virginia, nella quale ella lo accusa e gli rinfaccia tutte le nefandezze da lui compiute).
Nonostante una vita tanto “bassa e torbida”, interrogato durante il processo, nega ogni cosa, mostrandosi, oltretutto, sbalordito e sdegnato per i capi d’accusa che gli vengono, via via, imputati, giungendo anche a giurare e spergiurare più volte, fino ad osare di chiamare Dio a testimonio della sua innocenza e rettitudine, nel tentativo di essere creduto quando protesta la sua innocenza. Egli preferisce “il male al bene, la menzogna al parlare sincero” (Salmo 52,5).
“Dio mi faccia morire adesso adesso -protesta- se io so cosa alcuna delle sodette (si riferisce ai vari regali inviati da Gio Paolo a sr. Virginia, ovvero: i guanti, il crocifisso d’argento, la calamita bianca “battezzata” ed il Graffio) … e chiamo Iddio in testimonio … dirò solo quello che so del libro, et è che andando in casa dell’Osio leggievo qualche volta un libro de casi di conscientia che stava sopra la tavola e non trovandolo una volta dimandai all’Osio detto libro da leggere, et lui disse io non l’ho in casa e non è tanto lontano che non lo possi havere quando lo voglio, e per aver detto che non era lontano m’imaginai che l’havesse dato nel monastero nelle mani di detta sr. Virginia e così penso e  m’imagino”.
“Io nego questo perché non è vero -dice più oltre- … Io non ho cognitione de calamita … intendo che la calamita ha forza di tirare il ferro a sé … io non ho mai havuto in mano calamita, e Dio mi guardi di battezar calamita, non ho mai più sentito dire queste cose se non da vostra signoria e mi stupisco a sentir queste cose”.
Anche dopo essere stato benignamente ammonito più volte a dire la verità, poiché la sua deposizione non risulta credibile, dato che sia le monache implicate  sia alcune altre persone  interrogate, hanno testimoniato che egli giocò una parte considerevole nella relazione tra Gio Paolo e sr. Virginia, non desiste e, pur di scagionarsi accusa tutti gli altri ribattendo: “Da una falsissima donna (si riferisce, ovviamente a sr. Virginia) non si deve credere cosa alcuna né da altre falsissime monache che erano tutte cose falsissime inventate da loro e protesto che non ho fallato in questo, e dette monache hanno detto maggior bugie con giuramento peggiori che non sia questa … Io dico che ho detto la verità et li detti testimonii dicono la bugia loro per le ragioni dette di sopra, et se le monache non hanno stimato la conscientia nelle cose male fatte così anco non l’hanno stimata in questo e non hanno havuto conscientia per il passato quando hanno acconsentito al male e se l’hanno detto in quel ponto come vostra signoria dice è perché havevano così accomodato lo stomaco” e aggiunge “… Vorrei che Iddio facesse miracolo adesso se queste cose son vere, so ben io che mi volevano trovar delle polsie adosso, e  me n’accorgevo che me le volevano trovare adosso et questa è una collusione fatta contro di me per vendicarsi”.
È così interiormente corrotto che, quando gli viene fatto notare che, tra le suore interrogate, due erano in pericolo di morte e non è, di conseguenza, pensabile che abbiano voluto gravarsi la coscienza, deponendo il falso sotto giuramento, giunge ad accusare così pesantemente le amiche di sr. Virginia da non esitare ad affermare “Io so che intesi, che le compagne di sr. Virginia Maria dicevano alla medesima sr. Virginia che non si dubitasse che mai dicessero parola contro di lei e siccome loro non volevano far stima della conscienza con negar il vero, così habbino voluto gravar la conscientia con dir queste cose contro di me, et se una non ha havuto conscientia in vita non l’ha neanco havuta in articolo di morte havendo detto la bugia a dir queste cose contro di me”.
Ovviamente nega ogni cosa anche riguardo alla sua relazione con sr. Candida. Non solo, riferendosi a lei, dice: “conosco l’organista  credo si chiami sr. Candida”, dando ad intendere che la conosce solo “di nome”, quasi “per sentito dire”, ma, pur di scagionarsi da ogni accusa e sospetto, non esita a cercare di diffamarla, mettendola in “cattiva luce” e facendola passare per una monaca “leggera e corrotta”. Il suo fine, è chiaro, è quello di screditarla per poter mettere in dubbio la credibilità della di lei testimonianza e vanificare, così, le accuse fatte da sr. Candida nei suoi confronti.
Afferma infatti che l’Osio una volta l’informò che  “Rainerio (è il farmacista che fornisce il monastero) fingeva d’andar al monastero a portarli qualche cosa della bottega… et ivi faceva de gl’atti brutti, et un’altra volta mi disse che era con una sr. Candida organista” e che egli ne diede avviso, di queste chiacchiere che diffamavano il monastero all’interessata la quale, a suo dire, gli scrisse per averne delucidazioni.
Dopo aver testimoniato che, solo in seguito a una precisa richiesta della monaca stessa, diede  “ risposta in scritto alla detta sr. Candida”, precisa che, fu sempre e solo su invito/richiesta della suddetta suora che andò “a parlare a detta sr. Candida nel parlatorio di fuori del monastero … e fu un giorno circa l’hora dell’Ave Maria”. “Mi ci sarò trattenuto -ci tiene a specificare- un quarto, od una mezza hora o una cosa simile. … La seconda volta che andai al detto parlatorio sarà stata la medesima hora … parlassimo del fatto del sodetto Rainerio non nominandolo … la prima volta ragionassimo poi d’altre cose che sentivo a dire di sr. Virginia Maria et la seconda volta pure ragionassimo all’istesso con consolarla e dirle che non si caviasse fastidio perché non credevo cosa alcuna”.
Quando, procedendo l’interrogatorio, gli viene comunicato che, stando alla deposizione di sr. Candida, durante i loro colloqui amorosi (e non perciò “di circostanza”, come asserisce invece lui), si sarebbero anche tenuti per mano, fa il “nesci” esclamando “candidamente”: “Come vuole vostra signoria che si faccia a toccare la mano a detta suor Candida, non sono andato là con talle intentione … non l’ho fatto e non è cosa da farsi, e non credo che si possi fare ancorché  si volesse perché vi sono le ferrate”… “dico che non è la verità e dichino quello che vogliano loro”.
Viene allora accusato, dopo averlo nuovamente ammonito a dire finalmente a verità (dato che le imputazioni a suo carico sono tali e tante e le testimonianze a suo sfavore sono tutte talmente  concordi, che persistere nella menzogna non gli gioverebbe a nulla), di aver non solo mentito e di aver fatto quanto sopra detto, ma di aver anche commesso, con sr. Candida, “atti osceni”. Al ché egli, contorcendosi il capo e iniziando a giurare e spergiurare,  risponde esclamando: “Giusus Giesus … adesso m’accorgo che m’hanno messo adosso et accordatesi così facendo la collusione e l’hanno pensata… Giesus Giesus…”  Sr. Candida “dice una gran bugia e Dio la castigherà e mi meraviglio che dichino queste parole e bisogna che habbino pratica cattiva sapendo simili malizie”.
Da lui, il Vicario Criminale non otterrà la minima ammissione di colpevolezza e anche alla lettura della sentenza che lo riconosce colpevole e lo condanna a un triennio come membro della ciurma sulle triremi, non darà il benché minimo segno di pentimento, persistendo nel suo atteggiamento di “vittima ingiustamente accusata. “Io non accetto niente di questa sentenza come ingiusta et iniqua, -dice- anzi me n’appello al papa perché mi trovo aggravatissimo di questo stando che io so esser in conscientia sicuro di non haver comesso tali delitti, ma esser tute imposture fabbricatemi da nemici e come già n’appare per il processo difensivo”.