“Il tuo regno è regno di tutti i secoli,

il tuo dominio si estende ad ogni generazione”

(Salmo 145, 13)

 

 

L’esistenza di Marianna De Leyva, la nostra sr. Virginia che “prestò”, se così vogliamo dire, le sue generalità, alla conturbante figura letteraria della Gertrude manzoniana, si 

svolge a cavallo tra gli ultimi anni del XVI° secolo e il primo scorcio del XVII°. 

Sebbene quello del Signore “è regno di tutti i secoli e il suo dominio si estende ad ogni generazione” non è da dimenticare che ogni età ha le sue caratteristiche peculiari che, anche sul piano della fede, la caratterizzano. Perciò, analizzando la vita di Mariana De Leyva, è bene tener presente che l’epoca storica in cui ella visse, dal punto di vista religioso, è caratterizzata dalla Riforma protestante da una parte, e dalla Controriforma cattolica dall’altra e che su di esse si imperniò, poi, tutto lo svolgersi della vita civile e sociale del seicento.

Lo studio del devozionalismo cattolico, prendendo in considerazione l’aspetto del folklore devozionale ed analizzando le reazioni collettive nei “momenti di crisi”, ha messo in luce come, le paure comuni, esasperino le credenze magico-religiose (non solo a livello popolare) e ha evidenziato come, nel seicento in modo particolare, si evidenzino, fino a giungere all’esasperazione e al fanatismo, le reazioni irrazionali a ciò che è avvertito come “calamità sociale”, con la conseguente “fuga” nella superstizione, nelle pratiche magico-scaramantiche (o nei riti paganeggianti), e nella caccia alle streghe o ai “diversi” (accattoni, giocolieri, vagabondi, … ).

Per stregoneria si intendeva un “maleficio” con intervento diabolico. Tanto la magia (detta magia bianca) quanto la stregoneria (la magia nera), erano radicati soprattutto nell’ ambito popolare e rurale ma traevano le loro origini dai ceti “alti”.

Inoltre è da tener presente che il Rinascimento, con la promozione del sapere, favorì la ricerca culturale e quindi il “dubbio”: si riteneva che la mente del vero studioso dovesse essere aperta ad “ogni tipo di sapere”. Questi “ricercatori” tentavano di scoprire una realtà che trascendeva i dogmi ufficiali ed erano affascinati dalla possibilità di recuperare antiche arti perdute. Ad esempio, la massoneria attirò molti perché sembrava dare acceso ad una sapienza da tempo nascosto. 

Si giunse così, da parte di buona parte dell’elite colta, al rifiuto dei dogmi, anche se, si guardarono bene dal manifestare (e quindi tanto meno professare) la loro convinzioni miscredenti, nell’ambito civile, per timore di eventuali, possibilissime, reazioni da parte dell’autorità ecclesiale.

La maggior parte della popolazione europea, come rileva Jean Delumeau, aveva, della fede cristiana, una concezione superficiale “in cui frammenti di dogmi si mescolavano a superstizioni nate nella notte dei tempi e a un politeismo mal camuffato”.  

Risulta evidente quindi, come, in tale contesto, sacro e profano si mescolassero dando vita a una religiosità formata da un “mix” alquanto particolare di autentica devozione e bassa superstizione.

Infatti, accanto a pratiche inficiate di magismo e superstizione, c’erano anche espressioni di una fede vera ed autentica, profondamente radicata nella vita e nel cuore di molte persone appartenenti alle diverse classi sociali. 

Se il periodo caratterizzato dalla Riforma e dalla Controriforma, fu, da una parte il tempo della “caccia alle streghe”, non dobbiamo però dimenticare che esso fu anche l’epoca di grandi santi (basti pensare a S. Filippo Neri o a S. Luigi Gonzaga).

In quest’ottica, il caso di sr. Virginia De Leyva, risulterà esemplare per illustrare la mentalità dell’epoca. 

La vicenda di sr. Virginia è, come vedremo e come ben evidenzia Attilio Agnolotto, “un microcosmo che comprende oltre a malefici e sortilegi, tentazioni lussuriose e pratiche ascetico-disciplinari, la corruzione di certo clero (il prete Arrigone), l’uso di rimedi devozionali (ricorso all’esposizione del Santissimo Sacramento) e di esorcismi (intervento di frate Battista), la mistura di cedimenti erotici (le espressioni amorose dell’Osio) con esteriori osservanze (il pellegrinaggio dello stesso a Loreto)”.

Di fronte a questo intersecarsi, a livello sociale, di “zolfo” e “acqua santa”, la Chiesa non rimase certo spettatrice inerme, ma intervenne energicamente.

La Riforma e la Controriforma avevano molteplici punti in comune ed una stesa origine: entrambi erano eredi di una stessa tradizione umanistica e riformatrice ed entrambe volevano estirpare la superstizione ed inculcare una moralità nuova. 

Si criticava la religiosità superficiale, che sconfinava nella superstizione e per far ciò, si giunse ad apportare alcune modifiche anche alla prassi religiosa e ai riti liturgici, nel tentativo di eliminare il lassismo morale dell’età precedente vivificando la vita di fede e morigerando i costumi morali. Riforma e Controriforma, benché in lotta tra loro, confluirono in pratica in un unico, grande, moto di trasformazione delle usanze e della mentalità della vecchia Europa.

A livello ecclesiale, però, se da una parte si insistette sull’applicazione dei decreti tridentini, dall’altra, il timore nutrito nei confronti del protestantesimo allora serpeggiante o addirittura imperante in alcune regioni europee, portò la Chiesa ad infierire, sulla vita religiosa sociale, tramite un’azione dell’Autorità ecclesiastica imperniata, non di rado, sulla repressione più severa di tutto ciò che “odorava” di “eresia” o anche solo di “pericoloso”.

Quest’azione di “vigilanza” si esplicò con metodi e sistemi diversi. “C’erano - come ci informa Mario Bendiscioli -  quelli propriamente più religiosi … della cura d'anime; ma non si applicavano meno quelli repressivi e punitivi... Ed a tali scopi taluni vescovi avevano addirittura rimesso in funzione una polizia vescovile anche nei riguardi di laici”.