Monza nella storia e al tempo di sr. Virginia

“Del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti”
(Salmo 24,1)

 

 

 

Monza sorse, come vera e propria città, attorno al 50 a C, durante la dominazione romana, con il nome di “Modicia”, sebbene, anche prima di tale data, il territorio fosse occupato da alcuni insediamenti di Celti (che vennero, poi “romanizzati”).
Monza, divenuta con Teodorico, re degli Ostrogoti, sede del Palatium Magnum dell’imperatore, assurse però a centro di interesse politico ed economico e, per così dire, “passò alla storia”, solo con l’avvento del regno longobardo e della Regina Teodolinda in particolare. Essa scelse Monza quale sua dimora di villeggiatura, dotandola, tra l’altro, anche di preziosi tesori e opere d’arte. Convertitasi al Cattolicesimo, prese accordi con Papa Gregorio e fece di Monza un luogo di irradiazione e diffusione della religione Cattolica in opposizione a quella Ariana.
Durante il regno di Teodolinda, parafrasando il salmo 24, si può ben dire che “Del Signore è la terra” di Monza, “quanto contiene, … e i suoi abitanti” (Salmo 24,1).
Inoltre, sempre allo scopo di diffondere e testimoniare il cristianesimo, la regina fece costruire un’imponente Basilica dedicata a S. Giovanni (l’attuale Duomo, che fu  in seguito rifatto nel XII secolo e poi ampliato  nel XIV secolo) dove fece battezzare il figlio Adaloaldo nel 603.
Tra i tesori donati dalla Regina Teodolinda alla chiesa di Monza, vi è la famosa Corona ferrea, oggi conservata in Duomo, nella cappella detta di Teodolinda, con la quale venero incoronati i diversi re d’Italia succedutisi dal Medioevo al XIX secolo (l’ultimo a cingerla fu Ferdinando I d’Austria nel 1838).
Durante il periodo Comunale, grazie anche alla potenza, economica e religiosa, degli Umiliati, Monza si arricchì di  numerosi edifici sacri e di monasteri che, oltre a essere luoghi di preghiera, divennero vere e proprie fucine e laboratori di ogni arte, facendo così di Monza, uno dei maggiori centri dell’artigianato e i più importante luogo di lavorazione della lana di tuta la Lombardia. L’Arengario, costruito in quegli anni, assurse a simbolo del potere politico ed economico raggiunto
Nel 1300, Monza, divenuta nel frattempo oggetto di  contesa tra le famiglie milanesi dei Torrioni e dei Visconti, progredì nel suo sviluppo artistico con la costruzione della splendida facciata del Duomo (opera di Matteo Da Campione) e di nuove Chiese (tra le quali, ad esempio, quella di S. Maria in Strada, quella di S. Maria del Carrobiolo e quella di S. Maurizio che, come vedremo, divenne “tristemente famosa” al tempo della vicenda di sr. Virginia, essendo confinante con il Monastero di S. Margherita ed essendo la sede di Prete Paolo  Arrigone, il sacerdote corrotto che gran parte ebbe nel sorgere e nel progredire della relazione amorosa di sr. Virginia con Gio Paolo Osio).
Durante il governo di Bianca Maria Visconti (moglie di Francesco Sforza), prima e degli Sforza, poi, Monza si arricchì di ulteriori tesori d’arte: il ciclo pittorico eseguito dagli Zavattari nella cappella di Teodolinda e a lei dedicato; gli arazzi, situati in Duomo e  raffiguranti la storia di S. Giovanni ed il ciclo di affreschi sulla storia di Mosè, realizzati dal Luini ed ora conservati nella Pinacoteca di Brera.
Pellegrino Ribaldi progettò, inoltre, il Battistero ed il campanile del Duomo.
Con l’avvento, in Italia, della dominazione Spagnola,  Monza, sebbene sempre sotto l’influenza del Ducato di Milano,  divenne feudo della famiglia De Leyva. Fu questo, per Monza come per il resto delle zone soggette alla dominazione spagnola, un periodo di stallo se non di vera e propria decadenza.
Ma fu proprio Monza la città teatro della scabrosa vicenda, che vide come protagonista sr. Virginia Maria De Leyva e che venne così magistralmente immortalata da Manzoni nei Promessi Sposi?
Parlando della Lombardia nel XVII secolo e riportando, tradotto, il brano del Ripamonti che tratta della vicenda di sr. Virginia Maria De Leyva, ed a cui Manzoni attinse per stendere la storia di Gertrude, Cesare Cantù, nella quarta parte dei suoi Ragionamenti, sottolinea che, sebbene “Il luogo della scena non è nominato dal Ripamonti,” tenendo presente che quest’ultimo parla di un “borgo antico e nobile, cui di città non manca che il nome; il Lambro ne bagna le mura; v’è un arciprete” è chiaro che, in “tale luogo”, “non poteva esitarsi a riconoscere Monza”. Perciò, “Trovato questa, era presto trovata la famiglia”, ovvero, trattandosi degli anni a cavallo tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo , la casata dei De Layva.
Inoltre, “Monza, -come leggiamo sempre nello scritto di Cesare Cantù - che fu quasi capitale al tempo del regno longobardo, dell’antica sua importanza conservò vestigi nella chiesa, che estendeva la giurisdizione fin sopra Sesto, Cologno, Castelmarte, S. Giovanni di Varenna. S. Maria di Bizzarrone; avea liturgia propria, diversa dalla ambrosiana; era indipendente dall’arcivescovo, e immediatamente sottoposta a Roma; l’ arciprete usava gli ornamenti episcopali, e sopra molte corti esercita signoria temporale”.
Dopo averci, poi, fornito una veloce “carrellata storica”, sul suo essere feudo, come abbiamo visto, or di una or di un’altra famiglia nobiliare, a seconda delle varie vicende storiche, resoconto da cui apprendiamo che Monza, sebbene sempre sotto l’influenza del Ducato di Milano, “Fu data in feudo primamente nel 1499 da Lodovico il Moro a Carlo conte di Belgiojoso; al quale fu tolta al cadere del Moro”, che poi, “Francesco I di Francia ne investì Arturo Gouffier signore di Boysi, fratello dell’ ammiraglio Bonnivet”,  e che,  “nel 1528 Carlo V la diede a Gasparo Frundsperg, figlio di quel Giorgio che menò masnade tedesche in Italia…”, Cesare Cantù ci informa che, “Infine nel 1531, Francesco Sforza la diede in feudo ad Anton de Leiva navarrese, principe d’Ascoli, in premio d’averla orribilmente malmenata, e d’aver aiutato efficacemente a ridurre lo Stato milanese sotto a quel dominio, i cui frutti sono manifestati a pennellate indelebili ne’ Promessi Sposi. Al figlio di Antonio ed alla sua discendenza confermò quel feudo Carlo V, nel 1537, con mero e misto imperio, podestà della spada nel civile e nel criminale, molti privilegi e regalie”. Giunto a trattare del XVI secolo, il riferimento a Marianna De Leyva, la nostra sr. Virginia, si fa più esplicito. Scrive infatti:  Don Martino chiamavasi il padre della nostra infelice, e don Luigi Antonio principe d’Ascoli il fratello, o piuttosto cugino di essa, quello, per favorire il quale, si suppongono usate tante malvage arti dal padre onde renderla monaca”. Ci informa poi, che il feudo, non rimase a lungo alla famiglia De Leyva, in quanto, “Agente di questa ricca famiglia era un Durino; e per uno di quei rivolgimenti, di cui non rari s’incontrano gli esempj, esso don Luigi Antonio ed il cavaliere Girolamo suo cugino, per un valore di trentamila ducati, cedettero poco di poi quel feudo al Durino, nella cui illustrata famiglia rimase fino ai nostri giorni”, cioè fino al XIX° secolo.
Sotto il governo della famiglia Durini, Monza si riprese, sia economicamente che artisticamente, sebbene la vera e propria rinascita avvenne solo con lo sviluppo agricolo ed artigianale che caratterizzò il periodo della dominazione austriaca nel XVIII° secolo.