LE SUPERIORE IN CARICA  AL TEMPO DELLA RELAZIONE Madre Bianca Caterina Homati: la Superiora compiacente

“Più untuosa del burro è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra.
 Più fluide dell’olio le sue parole”.
(Salmo 55,22)

 

 

 

Sr. Bianca Caterina, al secolo Francesca Homati, successe nella carica di Priora a Madre Francesca Imbersaga, dopo il breve priorato di sr. Beatrice (morta due anni dopo essere stata eletta). Qualcuno sostiene, inoltre, che ella ottenne il priorato, anche grazie all’influenza di sr. Virginia. Se ciò sia vero non ci è dato di saperlo con certezza, ma certo è che, tra madre Homati e sr. Virginia, passava una “affettuosa simpatia”.
Interrogata, Madre Homati tenta, infatti, di difendere sr. Virginia e lo fa tramite quello che potremmo definire “silenzio parziale”: si mostra, cioè, piuttosto renitente nel parlare, resta sul generico, non mente ma risponde in modo molto “diplomatico,” con frasi che si prestano spesso a varie interpretazioni, insistendo su particolari “insignificanti” e sorvolando su ciò che potrebbe risultare “compromettente”.
“Io non posso imaginarmi la causa perché sia stata dimandata se non me lo dice”, risponde, ad esempio, quando viene interrogata  se sappia qual è il motivo per cui è stata chiamata a deporre, mentre, quando le viene chiesto se sia mai stata eletta priora, risponde “ammettendo” e “tergiversando” insieme: “Quattro anni passati incirca io fui priora di questo monastero et uscii d'officio qualche un anno e mezzo fa…È stata vicaria in questo medesimo monastero nel detto tempo suor Virginia Maria da Leva cugina del prencipe, erano portinare suor Francesca suor Candoria suor Dionisia et Angela Margarita…l’officio della vicaria è di aiutare alla priora … ma lei m’ aiutò poco perché stete quasi sempre amalata et in letto”, precisando, poi su esplicita richiesta, che sr. Virginia, prima di essere eletta Vicaria, “Era sacristana et soprastante alle putte secolari che allhora erano parecchie …”, ma “sorvola” l’episodio occorso tra l’Osio e l’Educanda e la reazione di sr. Virginia all’accaduto.
Anche quando le viene chiesto in quale parte del monastero dimorasse sr. Virginia e di specificare alcuni particolari, cerca di restare sul “generico”, di non compromettersi e non compromettere. Dice infatti: “Suor Virginia Maria habitava in una camera dalla banda di qua che hanno una muraglia che risponde nel giardino delli Osii… Invitata a precisare, prosegue ammettendo, a più riprese e solo su esplicite sollecitazioni da parte della Corte, che “La detta camera riceve il lume dalle fenestre che rispondono nel monastero se ben ha anco una mezza finestra alta che risponde nel giardino del signor Gio. Paolo Osio” […] “Detta fenestra mentre era grande haveva la ferrata, ma dovendosi stoppare per ordine de superiori si levò la ferrata et si serrò un pezzo della fenestra lasciandoci tanta grandezza quanto ho detto di sopra” […] “Fu serrata d'ordine de superiori perché le monache non guardassero fuori del monastero se bene detta fenestra fu fatta sin dal principio che fu fatta la camera e non so per che causa più allora che altre volte li superiori volessero che si chiudesse quella fenestra et fu serrata del tutto doppo che fu levata di là detta suor Virginia Maria” […].. “Andando qualche monaca a quella finestra poteva esser vista dalli Osii et da altri vicini”.
Per cercare di portarla a parlare della relazione di sr. Virginia con l’Osio e ad ammettere di esserne a conoscenza, il discorso viene spostato sul suo attuale ufficio di portinaia e su ciò che esso implica, ma anche qui, sr. Caterina Homati, mostra una notevole perizia   nell’eludere il discorso con risposte vaghe e, dopo aver sostenuto che “È un pezzo un pezzo che non ho visto in questi parlatorii detto Osio”, anche se conferma che “noi portinare vediamo tutte le cose che escono dal monasterio”,  ammette di aver  solamente visto “qualche volta delli collari a detta suor Virginia Maria che li accomodava et diceva che erano de suoi fratelli […]  Li mandava poi fuori del monastero detti collari” mentre nega che “sia stato dato alcun vestimento di fuori del monastero a suor Virginia da conservare”.
 Cerca, infine, di “salvaguardare” sr. Virginia da ogni possibile  sospetto, sia asserendo che “Tutte li vogliamo bene” e che se anche “in particolare praticava con suor Ottavia suor Benedetta suor Silvia suor Tehodora, et suor Candida” […]  “tutte -ribadisce-  come ho detto l’amavamo perché era tanto buona giovine”, sia sostenendo che “Gio Paolo Osio non ha moglie […]  ha ben una putta che credo si chiami Francesca havuta come si fa et io l’ho vista qualche volta sotto la nostra porta”.  C’è da notare che  la piccola Alma Francesca, veniva portata al monastero minimo due volte la settimana e che sr. Bianca, la quale era allora portinaia, non poteva non sapere di tale assiduità. Eppure dice di aver visto la bambina solo “qualche volta”  aggiungendo che “ve la portava la balia sua chiamata Apollonia et un’Angela”  e che “Suor Virgina ha visto et tenuto in braccio tre volte incirca detta putta”. Se come abbiamo precisato sopra, sr. Virginia vedeva e “coccolava” la bimba, con una frequenza bi-tri settimanale, ci verrebbe da aggiungere, un po’  malignamente, che è verissimo quanto testimonia Madre Homati: “Suor Virgina ha visto et tenuto in braccio detta putta  tre volte incirca”… ma “a settimana”! Richiesta di specificare quale atteggiamento tenesse sr. Virginia nei confronti di  “detta putta”, ammette  che “li faceva carezze basciandola”, ma specifica anche che così “faceva anco con li altri quando poteva, et sempre è stata di questa natura, non so che gl’habbia dato cosa alcuna”.
Non per questo, però, si deve pensare che Madre Homati abbia agito in tal modo “in totale tranquillità di coscienza”, senza il minimo dubbio o senza vivere in sé un vero e proprio “dramma interiore”.
Se, nel rispondere alle domande che le sono state poste durante il Processo, posiamo ritenere che “più untuosa del burro” fosse  “la sua bocca” e “più fluide dell’olio” si fossero rivelate  “le sue parole” (cfr. Salmo 55,22), dobbiamo però supporre anche che “nel cuore” avesse “la guerra”; che, cioè, in lei  combattessero, tra loro, gli umani sentimenti di rispetto e di accondiscendenza, che ella aveva per sr. Virginia, da una parte e la sua coscienza che le evidenziava, invece, la peccaminosità della situazione che andava sempre più creandosi, dall’altra.