LE SUPERIORE IN CARICA  AL TEMPO DELLA RELAZIONE Madre Angela Margherita Sacchi

“Secondo le sue opere tu ripaghi ogni uomo”
(Salmo 62,13)

 

 

 

Madre Angela Margherita, al secolo Angela Federica Sacchi,  era la priora in carica al tempo dell’istruttoria processuale.
Venne eletta abbadessa del monastero di S. Margherita, il 29 luglio 1606, cioè il giorno seguente l’omicidio della conversa Caterina Della Cassina da Meda, uccisa da Gio Paolo Osio con la compartecipazione di sr. Virginia e delle suore sue amiche e complici. Qualcuno sostiene che fu proprio la “misteriosa  scomparsa” di Caterina, a far prevalere, in sede elettiva, il “partito” più intransigente ed “ostile” alla Signora, portando così all’elezione di Madre Angela Sacchi.
Madre Sacchi, quando venne eletta, era sicuramente al corrente della relazione esistente tra suor Virgina e l’Osio. La cosa, infatti, andava avanti da diversi anni e troppi erano i fatti, accaduti nel frattempo, che davano implicitamente conferma di tale “intensa amicizia” (senza contare che, sussurrato o apertamente sostenuto, questo era l’argomento che “andava per la maggiore”  tanto nelle “chiacchiere interne” al monastero quanto  nei discorsi che circolano in tutta Monza... e oltre).
Alla domanda iniziale, per così dire, “di rito”, se sapesse il perché era stata chiamata a deporre,  Madre Sacchi risponde apertamente: “Io mi immagino la causa per la quale v.s. è venuta qua et mi vogli esaminare sia per il sospetto  che si ha che il signor Gio Paolo sia venuto in questa casa” e poi, dopo aver assicurato, dicendo  “dirò quello che saprò”,  che intende “collaborare con la Corte al fine di appurare la reale entità di quanto accaduto tra l’Osio e sr. Virginia,  risponde esaurientemente, anche se a nostro giudizio in modo “abbastanza superficiale”, a tutte le domande che le vengono poste.
Il suo atteggiamento, nei confronti di questa storia appare, infatti, piuttosto “distratto e distaccato”. La sua linea di condotta, stando alla testimonianza resa al processo, dà l’impressione di essere quella del “vivi e lascia vivere”.
Non si schiera dalla parte di sr. Virginia. Non tenta, cioè, di proteggerla o giustificarla come aveva fatto Madre Homati, questo no. Ma neppure mostra, durante tutto l’anno del suo priorato che intercorre tra la sua elezione e il trasferimento di sr. Virginia nel Monastero milanese del Bocchetto, di essersi opposta apertamente al perdurare di questa situazione, intervenendo e prendendo provvedimenti, come aveva fatto Madre Imbersaga.  Madre Angela Sacchi non prende posizione né a favore né contro. Si mostra “neutrale”, o almeno tale sembra voler  essere. È come se dicesse in cuor suo: “Secondo le sue opere tu ripaghi ogni uomo” (Salmo 62,13), e lasciasse a Dio ogni giudizio, esimendosi dal farvi sopra altri ragionamenti e di prendere, perciò, quelle decisioni e quei provvedimenti  che, invece, la carica che ricopriva, avrebbero richiesto
Inoltre, dalla sua deposizione, imperniata spesso sul “sentei dire che…”, sul  “so che alcune monache dicevano che…”,  sul “si sospettava che”, sul “Io non lo so perché non l’ho sentito dire da persone che stiino fuori dal monastero ma ne habbiamo parlato così tra noi monache…”, sul “si vociferò che”, sull’”ho sentito dire per casa che…”, si deduce anche un altro aspetto del suo modo di rapportarsi a questa “storia”. Madre Sacchi si accontenta del “sentito dire”, non approfondisce i sospetti; non appura la veridicità di “certe voci”; non indaga in “foro esterno” su quanto si va dicendo, ormai sempre più apertamente, sia sulla piccante relazione di una sua monaca con il vicino, sia sui fatti ad essa correlati; ma si accontenta del “pettegolezzo” interno delle varie suore.
È come se preferisse “lasciar stare per quieto vivere”, quasi come se volesse, in un certo senso, “negare a se stessa” che la cosa esista realmente e non era solo una “malevola diceria” creata per alimentare “ghiotte chiacchiere”.
Eppure, interrogata durante il processo, mostra di “sapere”. Le risposte da lei  date alle domande formulatele, dimostrano che ella “era al corrente” di quanto stava accadendo. Solo non prese mai alcuna posizione. La sua coscienza le impediva sicuramente di “approvare” tale situazione, ma, nel contempo, il timore, che probabilmente provava in sé, dei grattacapi e del “putiferio” che si sarebbe scatenato, qualora si fosse opposta a che sr. Virginia continuasse la relazione, sembrano bloccarla, spingendola, di conseguenza, ad una tattica di “mistificazione” se non di vera e propria “negazione”, di quanto sta accadendo entro le “sacre mura” del suo monastero.
La sentenza formulata al termine del processo, nei suoi confronti (come in quelli di Madre Imbersaga), ed emessa sotto forma di “raccomandazione segreta di diffida”, è la seguente: “in quanto colpevole ecc. … dovrebbe essere privata del suo incarico; tuttavia, per non recarle disonore, consiglierei che termini il mandato e non possa più essere eletta ad esercitare alcun incarico in detto monastero”.