Le Voci si intensificano: prime conseguenze

“L'uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono”.
(Salmo 49, 21)

 

 

 

Giungiamo al 1606.
A questa data, Gio Paolo e sr. Virginia, si amano già da diversi anni e la storia della loro relazione, da “voce sussurrata”, è divenuta “cosa notoria”. Tutta Monza sa, tutti ne parlano ma poiché “L'uomo nella prosperità non comprende” ed “è come gli animali che periscono”. (Salmo 49, 21) Gio Paolo e sr. Virginia continuano, anche piuttosto palesemente, la loro relazione, incuranti del fatto che la cosa sia ormai “di dominio pubblico”. Sr. Virginia e l’Osio, probabilmente, si sentono “al sicuro”, “forti” del loro “stato sociale”.
Nessuno, infatti, almeno sulle prime, osa “adire le vie legali”, dato che la famiglia De Leyva è troppo potente ed influente e gli Osio troppo “irascibili e vendicativi,” perché qualcuno possa permettersi di “fiatare” ed opporsi a loro “apertamente”.
Succedono, però, alcuni fatti che, come si suol dire, “colmando la misura”, portano a rompere  “il velo dell’omertà” che regnava su questa delicata e spinosissima “faccenda”. È così che “certe voci” giungono anche in Curia e al governatore di Milano Fuentes, inducendoli ad intervenire o, per lo meno, ad informarsi ed indagare.
Quali sono questi avvenimenti? Li schematizzeremo brevemente, non ritenendo necessario soffermarci, sui vari fatti storici più di quanto sia necessario al nostro scopo, il quale, come ricordiamo, è quello di considerare l’esistenza di sr. Virginia Maria De Leyva e, in essa, evidenziare  quel camino interiore e spirituale che, dopo averla vista discendere progressivamente nel più profondo baratro del peccato, la vede, infine, uscirne, non solo profondamente pentita e convertita, ma anche, “graziata” da Dio, con il dono divino di episodiche esperienze mistiche.
Diamo, dunque, uno sguardo agli eventi storici.
Alla fine di luglio del 1606, alla vigilia delle Elezioni Capitolari in Monastero, una conversa, certa Caterina della Cassina da Meda, “essendo occorso che lei aveva fatto … sporcizie sopra il letto di sr. Degnamenrita” (la quale, essendo particolarmente dotata sia nel canto che nel suono dell’organo, era l’organista del monastero ed era molto cara a sr. Virginia Maria, appunto per questa sua perizia musicale), su segnalazione e “implicita volontà” di sr. Virginia, sebbene “con partecipazione della Madre e del confessore”, viene rinchiusa per punizione. Essa, però, reagisce, minacciando la Signora e le sue complici di rivelare tutto al Vicario delle monache, Mons. Barca, l’indomani, quando fosse giunto al Monastero per le elezioni. Il panico prende sr. Virginia e le sue amiche. Le cinque suore, dopo essersi rapidamente consultate con Gio Paolo, deliberano di “sopprimere” quella testimone, tanto pericolosa quanto loquace. Nottetempo, l’Osio viene introdotto in Monastero e, condotto presso la cella-prigione in cui era Caterina, la uccide colpendola alla nuca con “con darli tre colpi sulla testa con un piede di legno con l’asta di ferro di uno spianatorio”, come testimonierà sr. Ottavia.
Nascosto temporaneamente il cadavere, dietro una catasta di legna situata nel pollaio delle monache, viene fatto un buco nel muro di cinta che confina con la strada, per simulare la fuga della conversa e tale, ufficialmente almeno, sarà la versione che circolerà e che verrà fornita al padre di Caterina, il quale, attonito ed incredulo, giunge a Monza per “sincerarsi dell’accaduto”. Testimonierà, infatti, al processo: “Io venni qua al monastero per intendere come passava questo fatto et le monache mi fecero vedere un buso dandomi ad intendere che fosse fuggita di là… ma se non è la verità tal sia di loro e non ne ho mai più havuto altra nova”.
La notte seguente, però, il corpo viene “recuperato” e portato fuori clausura dal’Osio e da sr. Benedetta. Sistemato il cadavere nella cantina della casa di Gio Paolo, sr. Benedetta torna in Monastero mentre l’Osio, dopo averlo decapitato (la testa verrà rinvenuta nel pozzo di Velate dove Gio Paolo l’aveva gettata), lo seppellisce nella sua neviera.
Sr. Virginia, durante il processo, sosterrà che l’omicidio non fu premeditato. Dopo aver, infatti, tentato di “alleggerire” la responsabilità di Gian Paolo, asserendo che egli agì “ tirato dalla colera” aggiungerà: “Né io né le altre monache sudette havevamo né intelligenza né consapevoli eravamo di quello che dovesse commettere detto Osio nella persona della detta Caterina”.
Simile tesi, non è però, credibile.
Nella decisione di sopprimere Caterina, un ruolo notevole, lo giocarono, sicuramente, anche la paura ed il panico che colse le suore implicate;  ma ciò non toglie che l’assassinio della conversa non fu “casuale”.
La “freddezza” con cui non solo agirono, ma fecero anche “sparire” il corpo e tentarono di “sviare i sospetti,” praticando il buco nelle mura per simulare la fuga,  porta a pensare ad un omicidio “deciso e programmato nei dettagli”.
La tesi dell’omicidio preterintenzionale, sostenuta da sr. Virginia, viene infatti smentita e vanificata dalle testimonianze (concordi) di delle altre suore complici.
Nel Frattempo, la versione della fuga della conversa “non convince molti” e “le varie versioni” che circolano “con trepidazione, esitazione e perplessità”, legano tutte, implicitamente o meno, l’accaduto all’ormai chiacchieratissima, quanto nota, relazione sorta tra le mura claustrali, tra la bella feudataria e il giovane conte Osio. Questo spinge Gio Paolo a decidere di “dare una lezione” ai più chiacchieroni.
Allo speziale, che forniva le medicine al monastero (e tra queste ve ne erano di alquanto “sospette e compromettenti”), il quale si lascia sfuggire qualche parola di troppo, giunge così un archibugiata (il tiro, fortunatamente, non andrà a segno) e simile sorte avrà il fabbro che aveva contraffatto le chiavi: verrà trovato morto nella strada vicino alla sua bottega.
Anche Alessandro Moco, un altro fabbro al quale l’Osio, tramite il Pesseno, un suo bravo, aveva commissionato la duplicazione di alcune chiavi, e che, accortosi di “quali chiavi aveva duplicato”, (dato che, come lui stesso testimonia al processo, “di li a tre giorni incirca venne alla … bottega Domenico, fattore di dette monache con un mazzo di chiave, ed una saratura, dicendomi: accomodate un puoco questa saratura … et in quel mazzo vi era la chiave di quella saratura, et mentre guardavo le dette chiave del mazzo per trovare quella della saratura, vidi et recognobbi bene quelle due chiavi che mi aveva portato il detto Pesseno…”) aveva osato palesare  la cosa al padre, il quale si era poi recato ad informare di tutto “prete Battista Christoforo confessore all’hora di dette monache … quale fece tirare subito giù le serature che prima erano in dette chiavi et ci ni fece rimettere due altre di nuove con due chiavi sicure”, sa di essere in pericolo di vita, poiché prosegue: “per questo rimettere di queste due serature e chiavi di nuovo sono voluto essere amazzato dal detto Osio et ancora adesso ne dubito, et havevo da havere trenta lire dal sodetto Gio Paulo et per causa di queste chiavi … non mi ha voluto soddisfare”.
L’assassinio del fabbro e il tentato omicidio dello speziale, non possono non venir collegati, da tutti, ai “fatti del Monastero di S. Margherita”.
Il governatore Fuentes, dunque, interviene e, “pensando provvedervi con minor strepito et scandalo che fosse possibile”, fa arrestare l’Osio durante il carnevale del 1607,e lo fa imprigionare nelle carceri di Pavia.
In Monastero, l’arresto dell’Osio viene immediatamente collegato al suo ingresso in monastero e alla di lui relazione con sr. Virginia. Sr. Virginia stessa manda al Fuentes un memoriale firmato da pressoché  tutte le monache, in cui “faceva fede che non ci era male alcuno”.