Inizio della relazione con l’Osio: “Odi et amo”

“Questa è la sorte di chi confida in se stesso, l'avvenire di chi si compiace nelle sue parole.”
(Salmo 49,14)

 

All’età di  22 anni circa, sr.Virginia, oltre che sacrestana, diviene maestra delle educande.
Un giorno si accorge che, una delle fanciulle a lei affidate, certa Isabella Degli Ortensi, amoreggia con il bel vicino, Gian Paolo Osio, appunto.
Leggiamo, infatti, nella dichiarazione processuale rilasciata da sr. Virginia: “Detto Gio. Paolo Osio faceva l’amore con la signorina Isabella Ortensia secolare, la quale era nel monastero in dozena et Havendo io trovato che stavano guardandosi l’uno e l’altro alla cortina delle galline, gli feci un gran rebuffo che portasse così poco rispetto al monastero, massime che detta giovane era data in mia custodia … et esso andò via bassando la testa senza dire altro”.
Ma chi era Gio. Paolo Osio?
“L’Osio, –ci informa Paccagnini- figlio di Sofia Bernareggi e di un altro Gio. Paolo, “è un bel giovine”, ricco e ozioso. […] Frequenta amicizie altolocate[…] si dimostra solvente coi creditori, sembra inoltre in possesso di una qualche educazione umanistica, è “molto ben conosciuto” dalla Superiora del monastero di S. Margherita, suor Francesca Imbersaga, e anzi è “amico del convento”, che si serve spesso dei suoi stessi servitori per le proprie commissioni”.
La notizia del “gran rebuffo” fatto da sr. Virginia a Gio Paolo si diffonde e, inutile dirlo, il fatto suscita “clamore” (non tanto, forse, per la cosa in sé, quanto per il “nome” dei protagonisti implicati).
L’educanda, Isabella, viene immediatamente tolta dal monastero dalla madre che, con tutta probabilità, “ben consapevole” di quale “influenza sociale” avesse la casata dei De Leyva, ed in Monza particolarmente, teme un possibile “scandalo” che potrebbe “diffamare” il buon nome della figlia e della famiglia e perciò, fa in modo di maritarla nel più breve tempo possibile: 15 giorni.
I pettegolezzi sull’accaduto, però, devono riuscire “sgraditi” anche a “qualcun altro” ed è così che, pochi giorni dopo questi fatti, in Monza, viene trovato morto (ucciso da un archibugiata) un certo Molteno, agente fiscale dei De Leyva.
Pur “in assenza di testimoni oculari”, il fatto viene immediatamente collegato da tutti a quanto accaduto al monastero di S. Margherita e, sebbene un semplice “rebuffo”, sia una motivazione un po’ troppo “leggera” per un omicidio, anche per un tipo “orgoglioso” qual è Gian Paolo, l’Osio, è subito sospettato di esserne stato il mandante ed egli è quindi costretto a rimanere “rintanato in casa”.
L’Osio, dunque, “ retirato nel suo giardino quale è contiguo alla muraglia del monastero” –come dirà sr. Virginia, parlando di quell’episodio durante il processo – “inganna” il tempo anche guadando verso le finestre delle suore ed è proprio questo “passatempo” che lo porta a “incrociare lo sguardo della Signora.
Sr. Virginia, al processo, testimonierà che: “ritrovandomi a caso nella camera di sor Candida Brancolina vicino alla mia quale aveva una finestra che rispondeva in detto giardino vedendomi lui a quella finestra mi salutò, et dopoi essendo io andata un’altra volta a quella finestra, tornò a salutarmi et mi accennò di volermi mandare una lettera”.
Sr. Virginia è (o mostra di essere tale) offesa da tanta “sfrontatezza” e la sua reazione, a questo punto, diviene “tutt’altro che tenera”:  “io – prosegue sr. Virginia durante il processo- che ero in collera con lui per l’homicidio sudetto e vedendolo così avanti agli occhi e parendomi che strapazzasse la giustizia ne feci avvisato al signor Carlo Pirovano, più volte, a finché lo mandasse a pigliare e metterlo pregione.
L’Osio è costretto a fuggire da Monza e a rimanervi lontano per circa un anno.
Nel frattempo, molti, tra parenti e amici, si mobilitano e si premurano di recarsi al Monastero per tentare di far pressione sulla Signora, affinché “perdoni” il giovane e sospenda la pena inflitta, permettendogli così di tornare a casa.
Sr. Virginia si mostra dapprima inflessibile, anche con la stessa madre dell’Osio e, a suo dire, cede, concedendo a Gian Paolo il perdono, e quindi il permesso di ritornare in Monza, solo perché la Madre Superiora glielo ha comandato “sotto pena dell’obbedienza” (ecco perché, quasi a mo’ di battuta, avevamo detto che, conoscendo lo svolgersi successivo dei fatti, si poteva ritenere “galeotto” anche chi aveva affidato a sr. Virginia quell’ufficio, cioè la Superiora, la quale, dopo averle affidato il compito di Maestra delle educande, l’aveva “costretta” a perdonare all’Osio permettendogli così di tornare a vivere “attiguo al monastero”. A onor del vero, però c’è anche da dire che,  dati gli atteggiamenti assunti in altre occasioni da sr. Virginia nei confronti di M. Francesca Imbersaga, qualcuno suppone che più che l’imposizione della Superiora abbiano contribuito alla decisione le pressioni dei De Leyva, fratellastri di sr. Virginia e amici di G.Paolo).
Fatto sta che, comunque siano andate le cose, il perdono è accordato e l’Osio può tornare alla sua abitazione monzese, nel suo giardino confinante col monastero, a spiare la bella Signora.
Poiché “Questa è la sorte di chi confida in se stesso, l'avvenire di chi si compiace nelle sue parole.”
(Salmo 49,14), Gio Paolo Osio, per nulla intimorito, anzi forse anche allettato, dalla rischiosità dell’impresa, tenta di conquistare la bella monaca affacciandosi spesso al finestrino della sua abitazione che guarda nel cortile del monastero per incrociare lo sguardo di sr. Virginia e, dopo averla cortesemente salutata, ottenere da lei il permesso di scriverle delle lettere in cui mostrarle “la sua riconoscenza  per il perdono accordatogli”.
Anche l’atteggiamento di sr. Virginia nei confronti del giovane Osio, nel frattempo, è mutato ed ora, anche se ancora non lo dà pubblicamente a vedere, inizia a mostrarsi sensibile a tali attenzioni.
Ce ne dà la prova sr. Ottavia che testimonia al processo quando asserisce che, Sr. Virginia, vedendo dalla finestra della sua camera G. Paolo, passeggiare nel giardino, esclamò: “si potria mai vedere la più bella cosa”, riferendosi alla persona dell’Osio.
È così che sr. Virginia accetta di ricevere una lettera che l’Osio, dal suo giardino,  getta in quello del monastero,  ma… la missiva si rivela “disastrosa”: L’Osio aveva scritto a sr. Maria una lettera “focosa” a cui ella risponde in modo altrettanto deciso quanto sdegnato.
Entra allora in scena il prete Paolo Arrigone (essere “abbietto”, parroco della chiesa vicina oltre che amico e confidente dell’Osio), il quale “spiega” a G. Paolo che per conquistare “la Signora” deve attuare “tutt’altra tattica” e scrive, a nome dell’Osio, una lettera in cui, dopo aver chiesto scusa per il precedente ardire, si mostra ossequioso e deferente.
Sr. Virginia “ci casca” e, inizia uno scambio di missive “pure e caste” e alcuni doni altrettanto “innocenti” (ma che, inevitabilmente, “allargano il cerchio” delle persone “implicate”) e - poiché “certe manovre”, non potevano passare inosservate, né all’interno delle mura claustrali né all’esterno - iniziano a sorgere… “alcune dicerie e mormorazioni sussurrate”).