Tu, Signore, sei luce alla mia lampada”

(Salmo 18,29)

 

 

La figura del Cardinal Federico Borromeo, il Cardinale che resse la Diocesi Milanese al tempo in cui venne alla luce la torbida vicenda di sr. Virginia De Leyva e che, nel dispiegarsi del processo a quest’ultima, ebbe parte notevole, seguendo da vicino e personalmente le varie fasi processuali ed inducendo il Vicario Criminale ad emettere una “sentenza esemplare”, la possiamo trarre, almeno in parte, dal lungo profilo che, di lui, magistralmente, ci fornisce il Manzoni ne I Promessi Sposi (alla quale rimandiamo coloro che fossero interessati ad una conoscenza diretta e completa).

Scrive il nostro autore: “Federigo Borromeo, nato nel 1564, fu degli uomini rari in qualunque tempo, che abbiano impiegato un ingegno egregio, tutti i mezzi d'una grand'opulenza, tutti i vantaggi d'una condizione privilegiata, un intento continuo, nella ricerca e nell'esercizio del meglio. [ … ]. Persuaso che la vita non è già destinata ad essere un peso per molti, e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego, del quale ognuno renderà conto, cominciò da fanciullo a pensare come potesse render la sua utile e santa. Nel 1580 manifestò la risoluzione di dedicarsi al ministero ecclesiastico, e ne prese l'abito dalle mani di quel suo cugino Carlo, che una fama, già fin d'allora antica e universale, predicava santo. [ … ] La fama crescente del suo ingegno, della sua dottrina e della sua pietà, la parentela [ … ] tutto ciò che deve, e tutto ciò che può condurre gli uomini alle dignità ecclesiastiche, concorreva a pronosticargliele. Ma egli, persuaso in cuore di ciò che nessuno il quale professi cristianesimo può negar con la bocca, non ci esser giusta superiorità d'uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio, temeva le dignità, e cercava di scansarle; non certamente perché sfuggisse di servire altrui; che poche vite furono spese in questo come la sua; ma perché non si stimava abbastanza degno né capace di così alto e pericoloso servizio. Perciò, venendogli, nel 1595, proposto da Clemente VIII l'arcivescovado di Milano, apparve fortemente turbato, e ricusò senza esitare. Cedette poi al comando espresso del papa”.

Come scrive Giovanni Getto “Ogni concessione ai richiami di un’agiografia pittoresca vien meno in questo capitolo dei Promessi Sposi. La figura del cardinale è interpretata su linee severe, con sobrietà di colore, in pagine inconfondibili, che mantengono un loro tono, diverso da quello delle pagine in cui Federigo interviene come personaggio tra i personaggi del romanzo. [ … ] Il personaggio passa davanti ai nostri occhi nella luce modesta delle virtù cristiane meno attraenti, l’umiltà soprattutto, da lui cercate, praticate, intimamente vissute. “Humilitas”: la parola scritta sullo stemma araldico della famiglia Borromeo sembra guidare la penna di Manzoni e diventare la realtà morale fondatrice della biografia di Federigo”. Veramente, nella vita di Federigo Borromeo, il Signore era “luce alla sua lampada” ( cfr, salmo. 18,29).

Getto fa poi notare che anche la descrizione che Manzoni fa di Federigo Arcivescovo, rimane su queste linee, in continuità con “questa sobria immagine delineata nel racconto degli anni precedenti”. Procedendo, infatti, nella lettura della figura del Cardinale presentata dal Manzoni, vi si legge: “In Federigo arcivescovo apparve uno studio singolare e continuo di non prender per sé, delle ricchezze, del tempo, delle cure, di tutto se stesso in somma, se non quanto fosse strettamente necessario. [ … ] Cure, che potrebbero forse indur concetto d'una virtù gretta, misera, angustiosa, d'una mente impaniata nelle minuzie, e incapace di disegni elevati; se non fosse in piedi questa biblioteca ambrosiana, che Federigo ideò con sì animosa lautezza [ … ] Così riuscì a radunarvi circa trentamila volumi stampati, e quattordicimila manoscritti. Alla biblioteca unì un collegio di dottori [ … ] v'unì un collegio da lui detto trilingue, per lo studio delle lingue greca, latina e italiana; un collegio d'alunni, [ … ] v'unì una stamperia di lingue orientali [… ] una galleria di quadri, una di statue, e, una scuola delle tre principali arti del disegno. [ … ] Nelle regole che stabilì per l'uso e per il governo della biblioteca, si vede un intento d'utilità perpetua, […] molto al di là dell'idee e dell'abitudini comuni di quel tempo. [ … ] E in una storia dell'ambrosiana, scritta … da un Pierpaolo Bosca, [ … ] vien notato espressamente, come cosa singolare, che in questa libreria, eretta da un privato, quasi tutta a sue spese, i libri fossero esposti alla vista del pubblico, dati a chiunque li chiedesse, e datogli anche da sedere, e carta, penne e calamaio, per prender gli appunti che gli potessero bisognare; mentre in qualche altra insigne biblioteca pubblica d'Italia, i libri non erano nemmen visibili, ma chiusi in armadi, donde non si levavano se non per gentilezza de' bibliotecari. [ … ] La carità inesausta di quest'uomo, non meno che nel dare, spiccava in tutto il suo contegno”.

Eppure, nonostante questi riflessi agiografici – prosegue Getto nella sua disamina del ritratto del Card. Borromeo che emerge dalla lettura di questo capitolo dei Promessi Sposi la figura del cardinale è sottoposta alla fine ad una limitazione. E questa si riferisce proprio a quella realtà degli studi e della cultura che, nel giudizio sull’opera e la sensibilità di Federigo fondatore della biblioteca ambrosiana, costituisce la sola eccezione registrata nel romanzo che sia in netto contrasto con la decadenza del secolo. Infatti, Manzoni, come evidenzia Getto, “dopo di aver ricordato la parte avuta dallo studio nell’attività del Borromeo (“ce n’ebbe tanta, che per un letterato di professione sarebbe bastato”) e la fama goduta preso i contemporanei “d’uomo dotto”, scrive: “Non dobbiamo però dissimulare che tenne con ferma persuasione, e sostenne in pratica, con lunga costanza, opinioni, che al giorno d'oggi parrebbero a ognuno piuttosto strane che mal fondate; dico anche a coloro che avrebbero una gran voglia di trovarle giuste. Chi lo volesse difendere in questo, ci sarebbe quella scusa così corrente e ricevuta, ch'erano errori del suo tempo, piuttosto che suoi: scusa che, per certe cose, e quando risulti dall'esame particolare de' fatti, può aver qualche valore, o anche molto; ma che applicata così nuda e alla cieca, come si fa d'ordinario, non significa proprio nulla”.

Quelle che Manzoni definisce genericamente “opinioni, che al giorno d'oggi parrebbero a ognuno piuttosto strane che mal fondate” si riferiscono al fatto che, come scrive P. Prodi, “il Borromeo fu particolarmente sensibile al misticismo femminile e credulo nei fenomeni soprannaturali, nonostante nelle sue opere teoriche egli si sforzasse di distinguere con regole sicure le mistificazioni o i fenomeni puramente naturali.”.

Anche Cesare Cantù, traducendo lo scritto del Ripamonti più volte citato, evidenziando la magnanimità d’animo del Cardinal Federigo nei confronti di sr. Virginia Maria, una volta accertatosi della di lei autentica conversione, scrive: “ siccome i casi di costei furono tanto molteplici e vari, quanto brutti e atroci, e poi, per conversione miracolosa, celesti e celebrandi, così mostreremo sotto vari aspetti quanta virtù spiegò il cardinale in quella, per dir così, procella e naufragio del pudore. Giacché … altre con seco trascinò: né dell’onestà soltanto, ma anche delle vite accadde ruina: e dalla ruina gran lode e gloria, ed acquisto di santità, e volta in miracolo una scena di tragico misfatto, e un orribil delitto espiato con maggior pietà, e alla grand’opera aiutatrice e compagna la pietà e la munificenza del cardinale, quasi avesse esso medesimo peccato”.

Un evidente esempio delle doti e delle virtù spirituali del Borromeo ce lo fornisce lo stesso Manzoni, nel famoso colloquio del Cardinale con l’Innominato. A tale riguardo, però, senza nulla voler togliere alle “santità di vita” del Borromeo e agli intenti, ci si passi il termine, “agiografici” del Manzoni, è da sottolineare quanto il De Sanctis, parlando delle capacità persuasive del Cardinale, annota: “Se Borromeo compie il miracolo ( si riferisce alla conversione dell’Innominato ) con la sua ardente parola, si deve non solo a quella fiamma di carità che lo divora, a quella sua eroica esaltazione religiosa, ma a qualità più mondane che pare diminuiscano il santo, eppure lo compiono e lo perfezionano. Perché il poeta allato al santo fa apparire il gentiluomo, l’uomo di mondo e di esperienza, dotato di cultura, di un tratto squisito, d’una grande conoscenza dei caratteri e delle debolezze umane, che indovina i pensieri e le esitazioni più occulte dei suoi interlocutori, e sa tutte le vie che menano al loro cuore.”

Un altro aspetto caratteristico del Card. Federico Borromeo, lo mette in luce Molinari, il quale sottolinea come “Nel Card. Federico Borromeo la Controriforma è qualcosa di diverso, profondamente diverso che in San Carlo, non solo per la differente collocazione cronologica, ma anche per la varia statura ed esperienza. S. Carlo è un giurista, che s’è lasciato bruciare dalla foga perenne del convertito e dall’ardore del riformismo e del controriformismo cattolico; Federico non ha vissuto il trauma della conversione, non ha studiato diritto, ma teologia ed è piuttosto propenso alla solitudine, alla poesia, alla contemplazione che all’attivismo cui però attende per obbligo di coscienza; l’aspro rigorismo carolino si attenua lievemente in Federico, che tratta con affettuosa umanità le monache ed arriva, sia pure dopo congrua penitenza, a perdonare la monaca di Monza. La controriforma ha toni più umani e assume in lui i connotati anche dell’erudizione, della battaglia culturale, dell’Ambrosiana”.

Infine, Paccagnini, citando il Rivola, evidenzia un altro aspetto del ministero pastorale del Cardinal Borromeo: la sua predilezione per i monasteri femminili, sottolineando “con che sollecita cura impiegato egli si sia nel visitar i sacri Chiostri delle Monache così della Città come della Diocesi: e con quali consigli e ammaestramenti, e discrete maniere le abbia sempre mai rette e governate” . Sempre Paccagnini fa notare che, nell’ambito dei suoi rapporti con i vai monasteri, “ con le personalità di monache più ricche di spiritualità, Federico non esita poi a intrattenere un nutrito scambio epistolare, e questo senza badare al passato di esse monache…” “tale scambio, che coinvolge altre monache attraverso la persona del Cardinale, deve servire come stimolo per quelle monache o comunità che si mostrino tiepide o meno fervorose. … a tute il cardinale sembra rispondere, prestando attenzione ma non cessando mai la raccomandava l’umiltà”.

 

 

(1) G. Getto, Letture manzoniane, pag 203