la Monaca di Monza manzoniana: Gertrude educanda

“Essi parlano contro di te con inganno: contro di te insorgono con frode”
(Salmo 139, 20)

 

 

 

Con alle spalle una formazione, sia umana che religiosa, scevra di ogni ben che minimo accento religioso, “a sei anni, Gertrude fu collocata, per educazione e ancor più per istradamento alla vocazione impostale, nel monastero” Il tacito complotto, iniziato in seno alla famiglia, ora si allarga e coinvolge le monache poiché “la badessa e alcune altre monache faccendiere, che avevano, come si suol dire, il mestolo in mano, esultarono nel vedersi offerto il pegno d'una protezione tanto utile … tanto gloriosa … accettaron la proposta, … e corrisposero pienamente all'intenzioni che il principe aveva lasciate trasparire sul collocamento stabile della figliuola. Perciò “Gertrude, appena entrata nel monastero, fu chiamata per antonomasia la signorina; posto distinto a tavola, nel dormitorio; la sua condotta proposta all'altre per esemplare; chicche e carezze senza fine, e condite con quella famigliarità un po' rispettosa, che tanto adesca i fanciulli. È vero che “Non che tutte le monache fossero congiurate a tirar la poverina nel laccio; ce n'eran molte delle semplici e lontane da ogni intrigo… ma queste, … parte non s'accorgevan bene di tutti que' maneggi, parte non distinguevano quanto vi fosse di cattivo, parte s'astenevano dal farvi sopra esame, parte stavano zitte, per non fare scandali inutili”.
Ma Gertrude non era l’unica educanda. Tra le compagne, “ce n'erano alcune che sapevano d'esser destinate al matrimonio. All'immagini maestose, ma circoscritte e fredde, che può somministrare il primato in un monastero, contrapponevan esse le immagini varie e luccicanti, di nozze, di pranzi, di conversazioni, di festini, come dicevano allora, di villeggiature, di vestiti, di carrozze.” E, nell’ambito di questi “discorsi tra amiche”, che certo le giovinette facevano tra loro, le più “smaliziate” non avranno certo perso l’occasione di sussurrare a Virginia che i suoi parenti, i quali facevano di tutto per farle piacere e desiderare la vocazione monastica, “ parlano contro di te con inganno: contro di te insorgono con frode”(Salmo 139, 20).
Quale logica conseguenza, tali discorsi e tali immagini “varie e luccicanti”, fanno crollare, nella mente di Gertrude, le superbe “previsioni” del “predominio claustrale”. La sua “vocazione”, da tutti data per “scontata e certa”, crolla rovinosamente, poiché fondata su di una base prettamente umana, priva, oltretutto, di qualsivoglia educazione autenticamente cristiana. L’immagine del monastero, prima considerato un “eldorado” e una “reggia” su cui regnare incontrastata, svanisce come neve al sole e al suo posto subentra quella del monastero visto e vissuto quale prigione, da cui Gertrude, ora, desidera disperatamente sfuggire.
A questo punto, Gertrude, divenuta ormai giovinetta, e che, nutrita ed allevata nell’esaltazione della sua superiorità, pensava di essere invidiata dalle altre, si trova ad invidiare queste compagne e per la prima volta si accorge di avere una “libertà”, di poter “operare una scelta” per ciò che riguarda il suo “destino” e di desiderare “altro” rispetto a quello che tutti gli altri si aspettano da lei.
Nel suo cervello, allora, fa capolino l’idea, allettante e tremenda, che “alla fin de' conti, nessuno le poteva mettere il velo in capo senza il suo consenso, che anche lei poteva maritarsi,… che lo poteva, pur che l'avesse voluto, che lo vorrebbe, che lo voleva; e lo voleva infatti” . Ma “Dietro questa idea però, ne compariva sempre infallibilmente un'altra: che quel consenso si trattava di negarlo al principe padre, il quale lo teneva già, o mostrava di tenerlo per dato; e, a questa idea, l'animo della figlia era ben lontano dalla sicurezza”.
Con “tali idee in testa”, e dopo aver “informato”, di quanto maturato nel suo animo, il padre, tramite la famigerata lettera, “concertata tra quattro o cinque confidenti, scritta di nascosto, e fatta ricapitare per via d'artifizi molto studiati”, Gertrude, come le consuetudini (e, soprattutto, le regole canoniche per l’accettazione in monastero di un aspirante monaca) prescrivevano, fa il suo rientro in famiglia: Qui, l’attende un’accoglienza a dir poco glaciale e qui, succede l’episodio del paggio, il quale, tra l’indifferenza generale, e il silenzio cupo che regnava ogni qual volta ella era presente, le dimostra una timida simpatia, cui ella si aggrappa con ogni fibra del suo  cuore disperato.
Le conseguenze non tardano a manifestarsi e, a questo punto, la “volontà” di Gertrude, che fin dalla fanciullezza era stata coartata dai familiari e dagli educatori, è troppo debole e fiacca per poter “tener testa” a questa situazione e, soprattutto, allo strapotere del padre, il quale assurge, nella psiche di Gertrude, a un dio tremendo e onnipotente, il cui volere è “insindacabile”.
Gertrude, perciò, “si piega” al volere del genitore, il quale, esultante, dopo aver comunicato alla famiglia la “ritrovata vocazione” della figlia con queste parole: “ciò che noi desideravamo per suo bene, l'ha voluto lei spontaneamente. E' risoluta, m'ha fatto intendere che è risoluta... di prendere il velo”, “si diffuse a spiegar ciò che farebbe per render lieta e splendida la sorte della figlia. Parlò delle distinzioni di cui goderebbe nel monastero e nel paese; che, là sarebbe come una principessa, come la rappresentante della famiglia; che, appena l'età l'avrebbe permesso, sarebbe innalzata alla prima dignità; e, intanto, non sarebbe soggetta che di nome”… Ancora una volta, Manzoni mette in risalto quanto lontana da una vera risposta alla chiamata divina sia la vocazione monastica di Gertrude, sottolineando come l’importanza del lustro e la mera apparenza esteriore siano gli unici aspetti su cui il padre pone l’accento nel commentare la vocazione della figlia (dopo avergliela imposta).