Galahad

 

Galahad è l’ultimo e il migliore, dei tre cavalieri della Tavola Rotonda che giungono al Sacro Graal: Galahad ed è anche l’unico che poté prendere parte in pienezza ai Misteri del Graal.

Galahad (in alcune versioni Galaad), nato, per disposizione divina (e grazie anche all’uso di un filtro magico), da Lancillotto e dalla figlia del Re Pescatore, è la personificazione del lato mistico del cristianesimo.

Egli non teme di andare contro la mentalità comune e la sua dedizione nella ricerca del Graal è totale: è disposto ad affrontare qualsiasi prova pur di raggiungere la meta. Questo non significa affatto che Galahad “disprezzi” il mondo o lo consideri qualcosa da sfuggire in assoluto. Pur non lasciandosi irretire dalle sue malie, egli ama la vita e considera il mondo un luogo meraviglioso. In Galahad il lato mistico ed ascetico si fonde con un’umanità a tuttotondo. Egli sa unire la sua profonda tensione spirituale con un’altrettanto intenso amore per la terra. Egli diviene così la rappresentazione ideale del cristiano che sa vivere nel mondo senza essere del mondo.

C’è da notare, inoltre, che Galahad non ricerca il Graal per sé stesso o per “desiderio di gloria” ma per un fine totalmente altruistico: poter guarire le ferite del Re Pescatore. Questo fa sì che, alla fine, egli possa ritrovare la reliquia.

Guardiamo, perciò, al “percorso”, spirituale e umano, compiuto da Galahad per giungere al santo Graal.

 

 

Gahalad diventa Cavaliere

 

“La vigilia di Pentecoste … i cavalieri della Tavola Rotonda … stavano per sedersi a mensa dopo aver assistito all’ufficio, quando una damigella bellissima entrò nella sala a cavallo”. Scesa da cavallo e dopo aver salutato Re Artù, la fanciulla si avvicinò a Lancillotto e gli disse: “Lancillotto, a nome del Re Pellas vi prego di seguirmi”. Re Pellas, oltre ad essere il padre di Elaine, la principessa da cui Lancillotto aveva avuto un figlio (Galahad appunto), era il Re alla cui misteriosa corte si riteneva fosse custodito il Santo Graal. Lancillotto appena udito che la richiesta proveniva da Re Pellas, “ordina a uno scudiero di sellargli il cavallo e di recargli le armi. … Lancillotto e la damigella montarono a cavallo e se ne andarono … Arrivarono dopo una buona mezz’ora in una vallata dove scorsero davanti a loro un monastero” e vi si diressero. Qui le monache, dopo averlo accolto, lo condussero in una stanza ove Lancillotto ritrovò i suoi cugini Lyonel e Bors che lo accolsero festosi. Essi stavano ancora parlando tra loro quando “entrarono tre monache insieme con Galahad, un bellissimo fanciullo, così armonioso che sarebbe stato difficile trovarne un altro uguale al mondo”. Fa dunque la sua comparsa Galahad. Fin dalla prima descrizione comprendiamo che egli è un “ragazzo speciale”. Infatti “La monaca di più alto lignaggio lo conduceva per mano e piangeva molto teneramente”. Quand’ella fu davanti a Lancillotto così gli disse : “Messere vi conduco questo fanciullo che abbiamo allevato, che è la nostra gioia, il nostro conforto e la nostra speranza, affinché lo ordiniate cavaliere. Pensiamo che non vi sia nessuno più saggio e più valoroso di voi da cui possa ricevere l’ordine cavalleresco”. Lancillotto … non aveva mai visto un fanciullo di quell’età con un portamento così virile. E fu molto lieto all’idea di ordinare cavaliere un giovane la cui innocenza dava tante speranze. Perciò rispose alle monache che acconsentiva alla oro richiesta con grande piacere. 

Lancillotto … fece vegliare l’adolescente nella cappella. Il giorno seguente, all’ora prima, lo ordinò cavaliere. Gli calzò uno dei suoi speroni e Bors l’altro. Poi Lancillotto gli cinse la spada, gli diede la collata e gli disse che Dio lo avrebbe reso saggio e valoroso perché non aveva mai tradito la bellezza. Quando ebbe fatto tutto quello che era prescritto per un nuovo cavaliere, gli disse: “Messere volete venire con me alla corte del mio signore, il re Artù?” “no, Messere” rispose Galahad “non vi seguirò”. Lancillotto si rivolse allora alla badessa e le disse: “Signora, acconsentite che il nostro nuovo cavaliere ci accompagni alla corte del re nostro Signore. Vi acquisterà una perfezione maggiore che non restando qui con voi”. “Messere” ella rispose, “per ora non verrà; ma quando penseremo che ne abbia bisogno, lo manderemo da voi”. Allora Lancillotto partì con i suoi compagni. I tre cavalieri ritornarono a Camaalot ma il ricordo della straordinarietà di Galahad è impresso nelle loro menti. Perciò anche quando furono di ritorno alla Corte di Artù, i cugini di Lancillotto continuarono a parlare di lui. “Parlavano del fanciullo che Lancillotto aveva ordinato cavaliere, e Bors disse che non aveva mai visto nessuno che assomigliasse tanto a Lancillotto. “Sono certo” egli disse, “che è Galahad, il fanciullo nato dalla bella figlia del Re Pescatore, perché porta impressa meravigliosamente l’impronta di quel lignaggio e del nostro”. … Parlarono a lungo per spingere Lancillotto a esprimere il suo pensiero ma egli non rispose ai loro discorsi”.

 

 

Il Seggio Periglioso e la Spada nella Roccia

 

“Quando ebbero rinunciato a parlarne, andarono a guardare i seggi della Tavola Rotonda” e qui apparve loro un fatto prodigioso. Trovarono scritto su ciascheduno: “qui deve sedersi il Tale”. Ma sul grande seggio che veniva chiamato il Seggio Pericoloso ( è il seggio su cui nessuno aveva mai osato sedervisi poiché gli incauti che lo avevano fatto erano stati immediatamente inghiottiti dalla terra che si era aperta sotto di loro), essi videro delle parole che parevano scritte da poco e che dicevano: 

 

“Quattrocento e cinquantaquattro anni 

sono compiuti dalla passione di Gesù Cristo; 

e nel giorno della Pentecoste questo seggio 

deve trovare il suo Signore”.

 

… “In nome di Dio” esclamò Lancillotto, “… questo seggio deve essere occupato oggi stesso; infatti oggi è la Pentecoste e sono passati quattrocentocinquantaquattro anni”. Vorrei che nessuno vedesse questa scritta prima dell’arrivo di colui cui l’evento è destinato”. … poi fecero portare un drappo di seta e ricoprirono il seggio”.

Nel frattempo Re Artù, tornato dalla Sacra Funzione cui aveva assistito con tutta la corte, si era messo a tavola. Ma subito entrò un servitore che disse al re: “Sire, vi porto notizie meravigliose. …Sire, laggiù, davanti al vostro palazzo ho visto galleggiare sull’acqua un grande pietrone. Venite a vederlo, perché sono certo che è una cosa straordinaria”. Il re discese seguito da tutti gli altri. Arrivati sulla riva videro un pietrone di marmo vermiglio che era uscito dall’acqua; in questo pietrone era infissa una spada, bella e ricca, con l’elsa ricoperta di pietre preziose e con una scritta in oro finemente lavorata … che diceva:

 

“Mai nessuno mi leverà di qui

se non colui al cui fianco dovrò pendere.

E costui sarà il miglior cavaliere del mondo”.

 

Il re disse a Lancillotto: “Cavaliere, questa spada è vostra …” Lancillotto, infatti, era sempre stato ritenuto il più valoroso e il più nobile tra tutti i cavaliere esistenti. Ma, ora, Lancillotto è ben consapevole di non essere più “il miglior cavaliere del mondo” e perciò, Lancillotto rispose rabbuiato: “Sire, quella spada non è certamente mia, e io non avrei mai l’ardire di toccarla. Non ne sono degno e sarebbe una follia se pretendessi di averla. … E vi dico un’altra cosa: voglio che sappiate che in questo giorno inizieranno i grandi portenti e i grandi miracoli del Santo Graal”.

Dopo il rifiuto di Lancillotto il re chiese prima a Galvano e poi a Parsifal di provare loro. I due cavalieri, per obbedienza al re, tentarono ma entrambi fallirono.

 

 

Gahalad alla Corte di Re Artù

 

“I cavalieri dunque se ne andarono lasciando il pietrone sulla riva. Il re … sedette sotto il baldacchino e i cavalieri della Tavola Rotonda presero posto nei loro seggi. […] Quando furono seduti ci si avvide che erano venuti tutti i cavalieri della Tavola Rotonda e che tutti i seggi erano occupati tranne quello chiamato il Seggio Pericoloso.

Dopo la prima portata accadde loro un fatto meraviglioso: le porte e le finestre si chiusero da sole … senza che nella sala calasse l’oscurità. Tutti si meravigliarono […] In quel momento videro sopraggiungere un eremita … Arrivava a piedi conducendo per mano un cavaliere dall’armatura vermiglia, senza spada e senza scudo. E quando fu nel mezzo della sala, disse a tutti: “la Pace sia con voi … Re Artù ti conduco il Cavaliere Desiderato, colui che è nato dall’alto lignaggio del Re David e di Giuseppe d’Arimatea, colui grazie al quale devono compiersi le meraviglie di questo paese e delle terre straniere. Eccolo”. Re Artù rivolse all’eremita parole di gratitudine accogliendo, nel contempo il nuovo cavaliere come meglio non avrebbe potuto.

L’eremita fece quindi disarmare il cavaliere, […] Lo condusse direttamente al Seggio Pericoloso, vicino al quale sedeva Lancillotto, e sollevò il drappo di seta che vi avevano messo i tre cugini. Si vide allora l’iscrizione che ora diceva: 

 

“questo è il seggio di Galahad”.

 

Galahad è dunque “l’eletto” il “cavaliere desiderato” e come tale destinato ad occupare il Seggio Periglioso e a compiere le imprese del Santo Graal. L‘eremita lesse il nome di Galahad e lo chiamò a gran voce in modo che tutti potessero intenderlo: “Messer cavaliere, sedetevi qui, questo è il vostro posto”. Il cavaliere si sedette tranquillamente. […] Quando coloro che si trovavano nella sala videro il cavaliere seduto sul seggio che tanti uomini saggi e valorosi avevano rifiutato e dove erano accaduti tanti fatti strani, rimasero molto meravigliati. 

Il nuovo venuto era così giovane che un simile favore poteva essergli accordato soltanto dalla volontà di Nostro Signore. […] E Lancillotto, che lo guardava con grande gioia e ammirazione, riconobbe in lui quello che aveva fatto cavaliere”. Anche Borth e Lyonel lo riconobbero e iniziarono nuovamente a parlare di lui dicendo che Galahad era “colui che … Lancillotto ha armato cavaliere, …colui del quale … abbiamo molto parlato, il figlio che messer Lancillotto ebbe dalla figlia del Re Pescatore” . “Così parlavano i due fratelli e tutti gli altri baroni. La notizia si sparse”.

Terminato il pasto re Artù si avvicinò al Seggio ove s’era assiso Galahad e, dopo averlo ringraziato per essere venuto alla sua Corte, gli disse della spada meravigliosa infissa nel pietrone galleggiante sull’acqua e ve lo condusse informandolo che nessuno dei cavalieri che vi avevano tentato era riuscito ad estrarla.

“Sire, rispose Galahad, non mi meraviglia, perché l’impresa toccava a me, non a loro. Come avete potuto vedere, non ho portato la spada con me perché contavo su questa”. Detto questo Galahad impugnò la spada e la tolse facilmente dal pietroso come se questa non vi fosse piantata; poi la infilò nel fodero, la cinse e disse al re: “Sire, ora il mio valore è aumentato. Non mi manca che uno scudo”. “Messere”, rispose il re, “ Dio ve ne invierà uno come ha fatto con la spada”. Detto questo si stavano allontanando dalla riva quando guardando a valle videro una damigella che cavalcava un palafreno bianco e veniva verso di loro al galoppo. I fatti prodigiosi, infatti, non erano ancora finiti.

 

 

Il Santo Graal

 

La damigella, giunta presso re Artù lo salutò e gli disse: “Re Artù, Nescian l’eremita mi invia per dirti che oggi riceverai il più grande onore che sia mai accaduto a un cavaliere di Bretagna. E non sarà per te ma per un altro. Sai di che cosa sto parlando? Del Santo Graal che oggi apparirà nel tu palazzo e nutrirà i cavalieri della Tavola Rotonda”. E dopo aver detto queste parole riprese la strada donde era venuta.

A sera, infatti, dopo essere tornati dalle Sacre Funzioni ed essersi messi a mensa, Re Artù ed i cavalieri suoi commensali assistettero al prodigio dell’apparizione del Santo Graal. Si erano appena seduti quando udirono avvicinarsi un rumore di tuono così prodigioso che pensarono che il palazzo stesse per crollare. Ed ecco entrare un raggio di sole che rese la sala sette volte più chiara di prima. Coloro che vi si trovavano si sentirono come illuminati dalla Grazia dello Spirito Santo e cominciarono a fissarsi l’un l’altro. … Dopo che furono rimasti a lungo senza poter dir parola … apparve il Santo Graal coperto da un bianco sciamito; ma nessuno poté vedere chi lo portava. Entrò dalla porta principale e, quando fu entrato, la sala si riempì di profumi come se fossero state sparse tutte le spezie del mondo. Girò attorno ai baldacchini … e man mano che passava vicino alle tavole, ogni convitato trovava davanti a sé i cibi che desiderava. Quando tutti furono serviti il Santo Graal se ne andò senza che nessuno potesse sapere che cosa fosse diventato né dove fosse passato.

Ripresisi dallo stupore e dalla meraviglia, re Artù e i suoi i cavalieri “ringraziarono Nostro Signore per aver accordato loro un così grande onore. […] Quelli della casa e gli ospiti erano estasiati all’idea che Nostro Signore, avendo dato loro un tal segno della sua benevolenza, non li avesse dimenticati. Parlarono di tutto ciò a lungo”.

 

 

Inizia la Cerca del Santo Graal

 

A questo punto, sir Galvano, nipote del Re, prese la parola e disse: “coloro che si trovano qui hanno avuto tutto ciò che chiedevano e desideravano. Un simile prodigio non è mai avvenuto in nessuna corte tranne quella del Re Vulnerato. […] Perciò io faccio voto di entrare domattina nella Cerca e di continuarla per un anno e un giorno, e anche di più se fosse necessario: non tornerò a corte, qualsiasi cosa possa accadere, prima di aver visto in modo più manifesto, quel che ci è stato mostrato qui, se mi sarà permesso vederlo. E, se non sarà possibile, ritornerò”. Tutti i cavalieri presenti fecero il medesimo giuramento. Il Re, sebbene consapevole della nobiltà dell’impresa e della rettitudine e valore dei suoi cavalieri, poiché li amava quasi come figli, si addolorò di tale voto. Egli sapeva infatti che ben difficilmente, essi sarebbero tornati poiché l’impresa che si accingevano a compiere non solo era, già di per sé, un impresa ardua ed elevata, ma sapeva anche che, come subito spiegò loro un eremita sopraggiunto in quel frangente, “questa Cerca non è una ricerca di cose terrene, ma deve essere la ricerca dei grandi segreti di Nostro Signore e dei Misteri che l’Alto Maestro mostrerà apertamente al fortunato cavaliere che ha eletto a suo servitore tra gli altri cavalieri terreni; a costui verranno svelate le meraviglie del Santo Graal e potrà vedere cose che cuore mortale non potrebbe nemmeno pensare né lingua di uomo terreno pronunciare”.

L’indomani, dunque, dopo aver prestato giuramento sulle Sacre Reliquie, i cavalieri si augurarono vicendevolmente buona fortuna, si raccomandarono a Dio e partirono prendendo, ben presto, ognuno una strada diversa.

 

 

Gahalad alla ricerca del Santo Graal

 

Galahad, dopo alcuni giorni, giunse nei pressi di un’abbazia e qui vi trovò il Re Baudémagnus e Yvain, due compagni che, dopo aver intrapreso la Cerca, si erano recati in quel luogo per aver sentito parlare dell’esistenza di uno scudo meraviglioso “che nessuno può mettersi al collo e portar via senza che gli capiti qualche svenuta” e con l’intenzione di verificare la veridicità di tale cosa.

I tre cavalieri chiesero ad uno dei monaci di mostrare loro lo scudo ed egli, dopo aver cercato di dissuaderli dal toccare lo scudo, li portò dove esso si trovava. “Era lo scudo più bello e più ricco che avessero mai visto. E aveva un buon profumo come se fosse stato cosparso di tutte le spezie del mondo”.

Vedendolo, Yvain esclamò: “In nome di Dio, ecco lo scudo che nessuno potrà mai avere se non sarà il miglior cavaliere del mondo. Non sarà certo mio, perché non sono abbastanza valoroso né abbastanza saggio”. Re Baudémagnus, invece, decise di provare a prenderlo e dopo averlo fatto partì con esso a cavallo, seguito da uno scudiero, non prima, però, di aver chiesto a Galahad di aspettarlo all’abbazia, affinché, qualora gli fosse accaduto qualcosa di male, egli potesse saperlo e prendere lui lo scudo, poiché il re era certo che, se lui avesse fallito nell’impresa, Galahad sarebbe stato l’unico in grado di riuscirvi.

Così, infatti avvenne. Re Baudémagnus, appena partito, incontrò un altro cavaliere che lo assalì, lo disarcionò e lo rimproverò per l’ardire avuto nel prendere lo scudo, poiché – disse – “a nessun uomo è permesso portarlo, a meno che non sia il miglior cavaliere del mondo. E io sono stato inviato qui da Nostro Signore per punirvi del vostro peccato”. Così lo privò dello scudo che consegnò allo scudiero dicendogli: “prendi questo scudo e portalo al servitore di Gesù Cristo, al buon cavaliere che porta il nome di Galahad ed è rimasto nell’abbazia. Digli che l’Alto Maestro gli comanda di portarlo e che lo troverà sempre nuovo e bello com’è ora; perciò deve amarlo molto”. Pregato dallo scudiero, il cavaliere misterioso, prima di congedarsi, accetta di narrare loro l’origine di quello scudo prodigioso. Non prima, però, che sia giunto anche Galahad, il cavaliere destinato da Dio a portare lo scudo, che egli manda a chiamare tramite lo scudiero. Veniamo così a sapere che tale scudo prodigioso era stato dato in dono da Giuseppe, figlio di Giuseppe d’Arimatea, a Ewalach, re di Sarras, dopo averlo convertito al cristianesimo. Con quello scudo, re Ewalach, aveva vinto in battaglia un pericoloso avversario che minacciava il suo regno e, tornato vincitore, riconoscendo il merito della vittoria all’aiuto divino, aveva fatto convertire al cristianesimo tutto il suo popolo.

Molti anni dopo, quando Giuseppe si trovava in punto di morte, re Ewalach, gli aveva domandato di lasciargli qualcosa in suo ricordo. Giuseppe, dopo aver chiesto al re di portargli lo scudo che gli aveva donato, vi tracciò sopra, con il suo sangue, una croce e profetizzò dicendo: “ ve lo lascio in mio ricordo … questa croce è fatta con il mio sangue. Ed essa sarà sempre così fresca e rossa finché lo scudo durerà e durerà a lungo, poiché nessuno potrà adoperarlo senza pentirsene se non Galahad, il buon cavaliere, … Nessuno dunque abbia l’ardire di prenderlo prima di colui al quale Dio l’ha destinato”.

Galahad preso lo scudo tornò con lo scudiero all’abbazia dove i monaci, saputo l’accaduto, lo accolsero festanti e lo pregarono di risolvere un altro mistero che gravava su quel luogo: da una tomba del cimitero limitrofo usciva una voce che terrorizzava chiunque osasse avvicinarsi facendogli perdere il controllo delle sue facoltà mentali per diverso tempo. Galahad, accompagnato dai monaci, si recò allora nel cimitero e si avvicinò alla tomba in questione. Subito si udì la voce che disse: 

 

“Galahad, servitore di Gesù Cristo, 

non avvicinarti oltre perché mi obbligheresti 

a lasciare questo luogo”.

 

Galahad, per nulla intimorito, dopo essersi fatto il segno della Croce, si avvicinò ulteriormente e rimosse la pietra che copriva la tomba. Fu allora che vide uscirne del fumo, poi una fiamma e quindi la più laida figura che si fosse mai vista sotto l’aspetto d’uomo. Galahad si fece il segno della croce: sapeva che era il Nemico. E udì una voce che gli diceva: “Ah Galahad! Santa creatura, ti vedo così circondato di angeli che non posso far nulla contro di te. Ti lascio il posto”.

Galahad si rifece il segno della croce e ringraziò Dio, poi tornò con i monaci all’abbazia dove un vecchio monaco gli spiegò il significato dell’impresa compiuta. “La pietra che ricopriva il morto rappresenta la durezza di questo mondo che nostro Signore trovò così grande quando venne sulla terra. Il Padre dei cieli [...] inviò il Figlio sulla terra per attenuare questa durezza e per rinnovare e addolcire il cuore dei peccatori”. Poi il vecchio monaco soggiunse: “Ecco che oggi questo dono di Dio sulla terra si è rinnovato. Infatti come la follia e l’errore sono fuggiti davanti al Figlio Suo e la verità si è manifestata, così nostro Signore vi ha eletto tra tutti gli altri cavalieri per … trionfare sulle più dure imprese e far conoscere al mondo il motivo delle vostre vittorie. [...] ma è accaduta anche un’altra cosa. Quando i cavalieri erranti arrivavano e si avvicinavano alla tomba, il Nemico, che li sapeva vili e impuri peccatori, … li terrorizzava talmente con la sua voce che essi perdevano i sensi. Per fortuna Dio vi ha condotto qui per porre fine a questo fatto straordinario. E il diavolo, che vi sapeva vergine da ogni peccato, … è fuggito perdendo così il suo potere”.

L’indomani, salutati i monaci e raccomandatosi a Dio, Galahad lasciò l’abbazia e andò verso le diverse imprese che Dio gli aveva preparato da compiere prima di poter giungere finalmente al cospetto del Santo Graal: tra queste sono da ricordare la liberazione del “castello delle pulzelle” (simbolo dell’inferno) dalle malvagie abitudini che vi erano state instaurate da sette cavalieri (simboleggianti i sette vizi capitali) e il soccorso prestato a Parsifal che era stato attaccato da ben venti cavalieri e che Galahad combatté e vinse come fossero stati un sol uomo.

Giunto infine presso un eremo, chiese ospitalità all’eremita ma qui fu raggiunto da una damigella (scopriremo poi trattarsi di Dendraine, la nobile e casta sorella di Parsifal) che lo invitò a risalire a cavallo e a seguirlo promettendogli di mostrale la più alta impresa che cavaliere avesse mai compiuto. Comprendendo che si tratta della Ricerca del Santo Graal e vedendo nella richiesta della damigella la volontà divina, Galahad monta a cavallo e parte.

Dopo varie e meravigliose avventure Galahad giungerà, accompagnato da Bors e da Parsifal, al castello del Santo Graal e qui, unico tra i suoi compagni e tra tutti i presenti, potrà assistere e prendere parte pienamente ai Misteri del Santo Graal, dopodiché Galahad, inutile dirlo, termina la sua vita così come l’aveva vissuta: in santità e purezza di cuore.

Sull’esempio di Galahad anche noi siamo invitati a rivolgere la nostra attenzione verso Dio e verso l'amore per gli altri, così da fare della nostra vita un dono continuo: significa lasciare tutto per seguirlo, con determinazione ed entusiasmo.

Galahad, alla fine, giunge a ritrovare il Graal e a viverne in pienezza il Mistero. Alla medesima “santità” di vita di Galahad siamo chiamati tutti: ciascuno di noi, infatti, è chiamato a giungere al Graal e alla piena attuazione, nell’ambito della sua esistenza e secondo le peculiarità caratterizzanti la propria vocazione specifica, del Suo Mistero d’Amore.

Galahad stesso sembra indicarcene la via quando, prima di lasciare questo mondo, rivolge l'ultimo suo pensiero al padre Lancillotto e raccomandandosi ai compagni, dice: "ricordatemi a mio padre Lancillotto e appena lo vedrete, invitatelo a ricordarsi di questo mondo incerto".

È molto significativa questa raccomandazione in quanto dimostra come Galahad, per quanto orientato e totalmente immerso nella dimensione spirituale, resta profondamente umano e non vede il mondo come qualcosa da sfuggire in assoluto ma come “opera di Dio”. Galahad, sebbene sia ben consapevole dei pericoli mondani e non ceda alle sue lusinghe, ama il mondo in cui si trova a vivere e, proprio perché opera di Dio, come abbiamo detto all’inizio, lo reputa un luogo meraviglioso.

 

 

Turoldo

 

Un “novello Galahad”, lo possiamo scorgere in p. David Maria Turoldo.

È praticamente superfluo tratteggiare il profilo biografico di questo sacerdote/poeta (in lui, infatti, la figura del prete e del poeta sono inscindibili) dato che le sue vicende, umane e liriche, sono note ai più, come, risaputo, è anche il “calvario”, tanto fisico (il tumore allo stomaco) quanto spirituale (l’incomprensione e il conseguente “isolamento”, che gli riservarono molti, e tra essi anche una parte del mondo cattolico), cui andò incontro a causa del suo modo di scrivere spesso “aspro e deciso”.

P. Turoldo compie il suo “viaggio alla ricerca del Graal” proprio tra queste difficoltà, prove ed ostacoli che gli provengono sia dalle “circostanze esterne” sia, e forse soprattutto, dalla lotta interiore che egli dovette sostenere in sé tanto per reagire al cancro quanto per restare fedele ai suoi ideali nonostante l’incomprensione che spesso incontrava anche tra coloro che gli erano vicini.

Si può, poi, stimare o meno questo autore, come si può apprezzare o disapprovare il suo stile letterario franco e diretto (che a volte giunge fino a rasentare la provocazione), ma è certo innegabile, come nota il Card. Martini, che, sotto la penna di Turoldo, “la pagina biblica viene come “ricreata” (secondo il significato etimologico di “poesia”) nei suoi simboli, nelle sue scene, nei suoi temi e viene poi incarnata nei nuovi orizzonti dell’oggi, nelle lacrime e nel sorriso, nella fede e nell’assalto del dubbio, nella speranza e nell’amarezza pur nella fedele e “rispettosa trasposizione ritmica del testo sacro”.

L’opera poetica di Turoldo come egli stesso attesta, “si ispira alla vera “Opera di Dio” che è la preghiera secondo la Bibbia” La “vera preghiera” è opera di Dio che opera in noi. “perciò… da parte nostra non si dovrebbe parlare di preghiera: noi non sappiamo pregare, è lo Spirito a pregare in noi “con gemiti inenarrabili”; di nostro noi possiamo solo dire di tentare di pregare, di osare: “Audemus dicere” appunto”.

Con questo spirito di preghiera interiore, di docile ascolto dello Spirito che “prega in noi”, David Maria Turoldo, trascorre tutta la sua esistenza.

Dobbiamo inoltre tener presente che Turoldo, nei suoi scritti dedicati alla meditazione della Parola in ambito liturgico, si rivolge a tutti: “a quanti – siano essi atei o no, religiosi o laici, monaci, eremiti – prema ancora la contemplazione, il colloquio e il silenzio, a cui prema specialmente il colloquio con Colui che si può definire, anche dall’ateo, “il tu necessario e inevitabile”. Infatti non occorrerebbe dire altro di lui, sapendo che per la stessa Rivelazione egli è l’Innominabile, il mai raggiungibile: “lui sempre oltre, a spostarsi a mano a mano che si sposta il confine… e sempre Altro”.

In ogni poesia di Turoldo è rintracciabile l’atteggiamento inconfondibile dell’orante biblico: “un tono alto pur nella semplicità del linguaggio, un’allusione profonda pur nella semplicità della parola – come scrive Gianmario Lucini – Non ci si rivolge al Trascendente con parole forbite e con la preoccupazione estetica, ma col messaggio diretto, spontaneo, salvando l’immediatezza del sentimento”.

Turoldo, in un’intervista disse: “Non ho mai avuto il bisogno di scegliere. Per me poetare e pregare è la stessa cosa. La mia poesia viene dalla Bibbia e dai Salmi”.

Eloquente è anche la scelta del nome – David – che egli assunse con la Professione Religiosa (il suo nome di Battesimo è Giuseppe). “Turoldo ha percepito dunque da sempre la centralità della parola” – nota Andrea Zanzotto – “e l’ha percepita proprio come una delle sedi più alte in cui la parola (che cristianamente è il Verbo, “era ed è presso Dio”) verifica se stessa e il mondo”.

E Giovanni Giudici aggiunge: “difficilmente si potrebbe reperire negli annali un pari esempio di così Perentoria, sorprendentemente trasgressiva, coincidenza e inscindibilità tra vocazione alla parola e testimonianza della parola”. Caratteristica di Turoldo è, allora, una spiccata “passione per Dio” unita ad un’altrettanto spiccata “passione per l’uomo”, che, poi, lungi dall’escludersi a vicenda, sono inscindibilmente intersecate e si compendiano a vicenda. Significativo, su tale punto, è quanto Turoldo, in una sua lirica, rivolgendosi a Dio, dice: “ Vivi di noi. / Sei / la verità che non ragiona / Un Dio che pena / nel cuore dell’uomo”.

Turoldo è l’uomo di fede anche quando dice: “è difficile dire di credere: credere è un’autentica rivoluzione”. Profonda in padre Turoldo era anche la coscienza che egli aveva della dignità sacerdotale. Scriveva infatti: “io ho un comando / … / : farmi frumento ai loro denti / legati di cenere, / diventare / carne di tutti” poiché dice, come in intimo, interiore, colloquio con se stesso : “è tuo soltanto / il grido della città / disfatta sotto il sole, / e tu solo / puoi rianimare i corpi / abbattuti ai piedi / delle piante / nell'afosità dell'estate. / … / Tu sei la possibilità / di una viva / solitudine; / e il tuo sacerdozio / è un'oasi / ove essi hanno il diritto / d'approdare / dalle loro fatiche” poiché nel sacerdozio “Sposata hai / una pena / di non sentire mai / dolcezza alcuna / che non sia di tutti”. Turoldo è consapevole che il suo essere sacerdote “del Dio altissimo”, sul modello di Melchisedek e ad immagine di Cristo, implica che uno “preghi per l’uomo e lo ami” e “si offra nel pane e nel vino al Dio altissimo in segno di grazie”.

Nell’ambito della sua ampia produzione poetica Turoldo, nei testi riguardanti la Liturgia della Parola, si proponeva l’intento-augurio che “terminate le celebrazioni, ognuno ritorni a casa con la Parola che gli canta dentro … Parola da ricordare tutti i sette giorni, e poi ritrovarsi di nuovo nell'ottavo giorno della Risurrezione, sempre sperando che la Parola – proprio essa finalmente! – continui ad essere lucerna ai nostri passi. Tutti insieme facciamo in modo che ogni uomo, credente o no – ma che ancora ama e cerca verità e bellezza – si senta aiutato a salvarsi dall'avvilimento. Aiutato a sperare che Dio ci sia ancora, a credere che pregare è ancora bello, a credere che pregare sia la cosa più vera, di quella verità che solamente libera, a credere che pregare sia un atto di intelligenza”. È questo l’augurio che ci facciamo anche noi, consapevoli anche che, pregare, è “l'atto più urgente che mai, soprattutto se pensiamo al tempo nostro” e che “proprio per questo, per tutto questo, riuscire a pregare bene è l'impresa più difficile del mondo”.

Prima di terminare l’analisi della figura di p. David Maria Turoldo, ricordiamo che egli stesso esortava chiunque a mettersi alla sequela del Maestro. Scriveva infatti: “O battezzati nel sangue e nel fuoco, gente uscita dal cuore di Cristo: con voi è nato un nuovo creato, un mondo libero, amabile e giusto. Sepolti insieme con lui nella morte, con lui risorti a gloria del Padre: i testimoni voi siete che vive, che vive in voi, nella Chiesa, suo corpo. La novità dunque siate nel mondo, il lieto annuncio che ormai più non muore: con lui pur voi ora morti alla colpa, con lui in Dio vivete per sempre”.

 

 

La Ricerca del Santo Graal: il compimento dell’Impresa

 

Dopo aver considerato la vita e le avventure dei singoli cavalieri del Graal, torniamo ora alla ricerca del Graal secondo la narrazione letteraria e seguiamone le ultime fasi.

Galahad, lasciato l’eremo, cui era giunto e presso il quale aveva pensato di fermarsi, riparte accompagnato dalla damigella che era venuta a cercarlo, verso il compimento dell’ultima fase della ricerca del Graal. Galahad e Dendraine “giunsero al mare e videro la nave sulla quale si trovavano Bors e Parsifal. I due cavalieri … appena li scorsero gridarono a Galahad: “Messere, siate il benvenuto! … Affrettatevi, è tempo di andare verso l’alta impresa che Dio ci ha preparato”. Galahad … si fece il segno della croce, si raccomandò a Dio e salì sulla nave seguito dalla damigella”.

La nave prese velocemente il largo ed essi navigarono finché giunsero ad un isola selvaggia, posta tra due scogli. Dietro uno di questi scogli videro la più bella nave che mai si fosse vista e Dendraine, invitò i cavalieri a scendere dalla nave, su cui si trovavano, per salire a bordo dell’altra.

Appena avvicinatisi alla nave essi però si arrestarono, a causa della scritta che vi scorsero sul lato e che così diceva:

 

“Tu che vuoi salire a bordo, chiunque tu sia,

bada di essere pieno di fede poiché io non sono altro che la fede.

Perciò, prima di entrare, esamina se non hai macchie

poiché io non sono altro che la fede e la credenza.

Se tu l’abbandonerai anche per poco, io ti abbandonerò

e tu non avrai da me né sostegno né aiuto, ma ti priverò di tutto

dovunque tu ti renda colpevole di miscredenza”.

 

I tre cavalieri si guardarono l’un l’altro. Dendraine li rassicurò e rivelò a Parsifal di essere sua sorella. Dopodiché, sempre rivolta al fratello, lo esortò ad accertarsi di non avere in sé macchie contro la fede prima salire a bordo ma fatto questo di aver fiducia in Dio. Nel frattempo, Galahad, dopo essersi raccomandato a Dio ed essersi segnato con il segno della croce, salì a bordo seguito da Dendraine. Anche Parsifal e Bors, dopo essersi esaminati, si raccomandarono a Dio, si fecero il segno della Santa Croce e salirono a bordo.

Qui essi trovarono un bellissimo letto sul quale era adagiata una spada meravigliosa, infilata nel suo fodero solo per metà. Alcune scritte avvertivano dei rischi che comportava il tentare di impadronirsi della spada e delle virtù che doveva possedere colui che desiderava appropriarsene.

Vi si leggeva infatti:

 

“Nessuno sia così ardito

da estrarmi dal fodero se non deve comportarsi 

meglio e più valorosamente di tutti.

Qualsiasi altro mi estrarrà dal fodero sappia 

che ne morirà o ne rimarrà vulnerato.

Tutto ciò si è già verificato molte volte”.

 

 

Esaminando più attentamente il fodero della spada, rimasero sorpresi, notando che, la cintura cui esso era appeso, a differenza del prezioso fodero, era di materiale debole e povero, simile alla stoppa o alla canapa. Un’altra scritta, impressa sul fodero, svelò loro il mistero:

 

“Nessuno sia così temerario da togliere questo budriere:

Questo budriere potrà essere tolto soltanto da una mano di donna,

figlia di re e di regina: ella lo potrà cambiare e sostituire 

con un altro budriere fatto con a cosa che preferisce

fra quelle che porta su di sé.

Questa damigella

chiamerà la spada con il suo vero nome

e me con il mio”.

 

Compreso il motivo di quello strano budriere, i tre cavalieri rimasero perplessi sul da farsi poiché nessuno sapeva dove potessero trovare la fanciulla indicata dalla scritta. “Messere, ora dobbiamo metterci alla ricerca della damigella che cambierà questo budriere” disse allora Parsifal a Galahad. Ma Dendraine intervenne dicendo: “Messeri non state in pena, a Dio piacendo, questa spada avrà il budriere che le conviene prima della nostra partenza”. E detto ciò, estrasse, dallo scrigno che aveva portato con sé, “una cintura di fili d’oro, di seta e di capelli. E i capelli erano così brillanti che a malapena si distinguevano dai fili d’oro; e vi erano incrostate delle pietre preziose e due fibbie d’oro, le più belle del mondo”.

Fatto questo, ella si rivolse a Galahad dicendo: “ecco il budriere che occorre a questa spada. Sappiate che l’ho fatto con ciò che avevo di più caro, con i miei capelli. … da quando mi sono dedicata a questa impresa mi son fatta tagliare i capelli e con essi ho intessuto il budriere che ora vedete qui”. Dopodiché cambiò rapidamente il budriere e poi, secondo la profezia scritta sul fodero, ella spiegò loro che la spada si chiamava ”Spada-dallo-Strano-Budriere” mentre il fodero si chiamava “Memoria del Sangue” poiché, disse, “chiunque vedrà una parte del suo fodero, che è fatto con il legno dell’Albero della Vita (quello della conoscenza del bene e del male piantato nel paradiso terrestre e di cui i progenitori, quando vennero scacciati, portarono con loro un rametto il quale, piantato in terra germogliò e crebbe, e sotto il quale, stando ad una leggenda, Caino uccise il fratello) si ricorderà del sangue di Abele”.

Infine Dendraine, preso il fodero con la spada e fornito del nuovo budriere, si avvicinò a Galahad e glielo cinse in vita.

Quando tutto ciò che riguardava la Spada fu compiuto, la nave riprese velocemente il largo e si diresse verso le coste della Scozia dove, approdati, giunsero al castello di Cracelois. Gli abitanti del luogo, saputo che erano cavalieri della corte di Artù li attaccarono ma i nostri tre si difesero prontamente e, menando fendenti a destra e a manca, prima ancora di rendersene conto, uccisero ben presto tutti i loro assalitori.

Quando videro tutti quei cadaveri a terra, sbigottiti, si sentirono profondamente in colpa per la “carneficina” compiuta, ma un vecchio sacerdote, sopraggiunto in quel momento, spiegò loro che non poteva essere stato altro che Dio stesso a inviarli e a guidare loro la mano nel compiere simile impresa, onde vendicare i delitti e i soprusi compiuti dai tre figli del signore del luogo, i quali, dopo aver violentato e ucciso la sorella, aver gravemente ferito e successivamente imprigionato il loro padre, si erano dati a compiere i peggiori misfatti.

Dopodiché il sacerdote accompagnò i tre cavalieri nelle prigioni dove era ancora imprigionato il signore del luogo e questi, liberato ed ormai in fin di vita, riconobbe in Galahad il “cavaliere desiderato” perciò, reclinato il capo sulla spalla di lui, spirò; non prima, però, di aver detto a Galahad che il Signore lo esortava a recarsi presto dal Re Vulnerato poiché solo così il re avrebbe riacquistato la salute e si sarebbero compiute le imprese del Santo Graal.

Lasciato il castello di Carcelois, Galahad, Parsifal, Bors e Dendraine raggiunsero allora la Foresta Desolata e qui videro un cervo bianco scortato da quattro leoni che decisero di seguire. Giunti che furono ad un romitaggio, mentre assistevano alla S. Messa celebrata dall’eremita, videro il cervo tramutarsi in un uomo e sederi su di un magnifico trono, mentre i quattro leoni, tramutatisi anch’essi rispettivamente in un uomo, un’aquila, un leone ed un bue, sollevarono il trono e volarono fuori dalla finestra trapassandone il vetro senza infrangerlo. L’eremita, finito il Sacro Rito, interrogato, spiegò loro che il Cervo bianco era figura di Nostro Signore Gesù Cristo, il quale si era incarnato nella Vergine Maria e, dopo la Passione, era ritornato alla vita. I quattro leoni, invece, raffiguravano i quattro evangelisti.

Lasciato l’eremo e attraversata la foresta, essi giunsero nei pressi di un castello ove vennero fermati da un cavaliere. Questi esigeva da Dendraine una scodella del suo sangue poiché, disse, quella era l’usanza del luogo. “Maledetto sia colui che ha stabilito questa usanza – disse Galahad reagendo – poiché è un’usanza cattiva. E in nome di Dio, … finché sarò in vita e questa damigella mi ascolterà, non vi darà ciò che reclamate”. Altrettanto dissero gli altri e cominciarono a combattere contro tutti i cavalieri che, nel frattempo, erano usciti dal castello. A sera la mischia continuava ancora ed essendo sopraggiunta l’oscurità della notte, gli abitanti del castello proposero loro una tregua e li invitarono ad entrare nel castello, assicurando che avrebbero rispettato i doveri dell’ospitalità. I nostri cavalieri e Dendraine accettarono e vennero così a sapere che, l’usanza, era stata istaurata a causa della malattia della Signora del castello. Ella era lebbrosa e solo il sangue di una fanciulla vergine e di alto lignaggio – era stato loro detto – avrebbe potuto sanarla. Saputo questo, Dendraine decise di offrire spontaneamente il suo sangue e chiese ai suoi compagni di non opporsi alla sua decisione, anche se era ben consapevole che ciò le sarebbe costato, quasi sicuramente, la vita. I tre cavalieri, seppure a malincuore acconsentirono e, fu così che, l’indomani, Dendraine donò la sua vita per salvare e ridare la salute alla dama lebbrosa.

Secondo il desiderio espresso da Dendraine prima di morire, i suoi compagni non la seppellirono in quel luogo ma, dopo averla imbalsamata, la deposero su di una bellissima nave drappeggiata tutta con splendidi teli bianchi (quella su cui, come abbiamo visto quando abbiamo esaminato la figura di Lancillotto, era salito appunto Lancillotto) e, sull’imbrunire, la affidarono al mare.

Appena la nave con a bordo il corpo di Dendraine si fu allontanata dalla riva, scoppiò, su tutta la zona, un forte temporale che durò quasi tutta la notte. I tre cavalieri che già stavano per riprendere il viaggio, si rifugiarono allora in una cappella. Il temporale divenne ben presto una violentissima tempesta, terminata la quale, Galahad e Parsifal (Bors li aveva precedentemente lasciati per accorrere in aiuto di un cavaliere che chiedeva soccorso), si accorsero che tutte le mura del castello (che avevano appena lasciato) erano crollate.

Raggiuntolo constatarono anche che tutti gli abitanti erano morti e udirono una voce che spiegò loro: “questa è la vendetta del sangue delle buone pulzelle che fu sparso in questo luogo per la guarigione terrena di una peccatrice sleale”. Nel cimitero limitrofo al castello (il quale, tra l’altro, non era stato toccato dalla tempesta devastatrice), scoprirono infatti le tombe di ben sessanta fanciulle che erano morte a causa di quell’usanza.

Fattosi giorno Galahad e Parsifal compresero che era giunto il momento in cui anche loro due dovevano separarsi e seguire ciascuno la loro strada, finché il Signore non li avesse ricongiunti nel compimento dell’impresa.

Galahad, dopo essere giunto al mare, aveva ritrovato la nave su cui era il corpo di Dendraine e, su ispirazione divina, era salito a bordo, incontrando, così, suo padre, Lancillotto (il quale, come abbiamo visto a suo tempo, esaminando la figura di Lancillotto, era salito su quella nave, per ordine divino anch’egli, e vi navigava già da molto tempo).

Dopo aver navigato con lui per sei mesi sbarcò e giunse presso il Re Mordian (il re che, come abbiamo detto quando abbiamo preso in considerazione la figura di Parsifal, era stato convertito al cristianesimo da Giuseppe d’Arimatea e da oltre quattrocento anni viveva, cieco e piagato, nutrendosi solo di Eucaristia, in attesa del Buon Cavaliere). Appena Galahad giunse presso di lui, re Mordian, avvertendo la sua presenza, si era messo a sedere sul letto sul quale giaceva e, ormai risanato, aveva esclamato: “Galahad, servo di Dio, vero cavaliere che ho tanto atteso, abbracciami … affinché possa morire tra le tue braccia: infatti sei vergine e puro più di qualsiasi altro cavaliere … poiché il fuoco dello Spirito Santo brucia così ardentemente in te che la mia carne, ormai morta e vecchia, ne è già tutta risanata”. Galahad abbracciò re Mordian ed egli, dopo aver ringraziato il Signore per averlo fatto giungere a vedere il Buon Cavaliere che avrebbe portato a compimento le imprese del Santo Graal, spirò dolcemente. Prima di riunirsi ai suoi compagni e giungere con essi al castello del santo Graal, Galahad ha però da compiere un ultima, ulteriore impresa: liberare un suo antenato, Simeone, dalle fiamme del purgatorio.

Giunto, infatti, alla cappella che ne custodiva le spoglie, Galahad, informato dai monaci di quell’abbazia e da loro accompagnato, discese nella cripta e sollevò la pietra che copriva il sepolcro e subito le fiamme, che prima ne uscivano, si spensero e si udì una voce che diceva:

 

“Galahad, Galahad, ringraziate nostro Signore che vi ha accordato una simile grazia: per la buona vita che avete condotta, avete avuto il potere di liberare le anime dalla pena terrena e porle nella gioia del paradiso. Io sono Simeone, vostro antenato, e sono rimasto trecentocinquanta anni tra le fiamme che vedete per espiare un peccato che commisi contro Giuseppe d’Arimatea. E sarei stato perduto se la grazia dello Spirito Santo che agisce in voi più che la cavalleria terrena non avesse avuto pietà di me per merito della grande vostra umiltà. Essa mi ha liberato, grazie a Dio, e mi ha posto nella gioia del cielo”.

 

Lasciata l’abbazia Galahad poté riunirsi prima a Parsifal e poi anche a Bors e tutti e tre insieme giunsero infine al castello di Corbenyc. Qui Galahad fu accolto dal re Pellas, suo nonno e da tutti gli abitanti del luogo (che avevano conosciuto Galahad da bambino) con grande gioia e profonda commozione.

Fattasi sera, precisamente a Vespro, iniziarono i prodigi del Santo Graal: il tempo mutò, il cielo si oscurò e la sala in cui si trovavano fu invasa da un vento caldissimo e si udì una voce che disse:

 

“Coloro che non devono sedersi alla mensa di Gesù Cristo 

se ne vadano poiché è arrivato il tempo in cui i veri cavalieri saranno nutriti con il cibo celeste”.

 

Rimasero così nella sala solo Galahad, Parsifal, Bors, il re Pellas, Elyézer, figlio del re Pellas e una damigella, nipote del re, considerata da tutti la damigella più pia di tutto il reame. Ad essi si aggiunsero altri nove cavalieri giunti in quel mentre da varie parti i quali, appena entrati nella sala, si rivolsero a Galahad dicendogli: “Messere, siamo venuti in gran fretta per sederci con voi alla mensa dove sarà diviso l’alto cibo”.

Giunse in fine il Re Vulnerato, coricato su di un letto trasportato da quattro damigelle. Anch’egli si rivolse a Galahad dandogli il benvenuto. “È da molto tempo – disse – che attendo la vostra venuta … Ma, a Dio, piacendo ecco giunto il tempo in cui alla mia pena sarà recato sollievo e lascerò questo mondo, così come mi è stato promesso”. A questo punto però, ogni altro discorso fu interrotto dalla medesima voce di prima che disse: “Coloro che non sono stati compagni della cerca del Santo Graal escano di qui”.  Uscirono così il Re Pellas con suo figlio e sua nipote.

Rimasti soli, i cavalieri assistettero agli ultimi prodigi del Santo Graal. Dal cielo, portato dagli angeli, discese un uomo, in abiti vescovili, recante sulla fronte la seguente scritta: “Ecco Giuseppe, primo vescovo che Nostro Signore consacrò nella città di Sarraz, al Palazzo Spirituale” . 

I cavalieri si meravigliarono poiché Giuseppe era morto più di trecento anni prima ma il loro stupore aumentò vedendo che gli angeli, che avevano prima portato Giuseppe, ora portavano dei ceri, una seta vermiglia e, cosa meravigliosa a vedersi, una lancia che sanguinava tento abbondantemente da far colare il sangue in un recipiente portato dallo stesso angelo che reggeva la lancia. Giuseppe, giunto presso la tavola su cui era posato il Santo Graal, iniziò la S. Messa ma giunti al momento dell’Elevazione, dal cielo discese nell’Ostia “un fanciullo dal viso rosso e acceso come di fuoco … e tutti coloro che erano nella sala videro distintamente che il pane prendeva la forma di un uomo di carne”. A questo punto Giuseppe, dopo aver detto loro: “Servitori di Gesù Cristo che avete dovuto sopportare fatiche e pene per vedere una parte delle meraviglie del Santo Graal, sedetevi a questa mensa e sarete nutriti dalla mano stessa del vostro Salvatore…”, sparì dalla loro vista. 

Dal calice uscì allora lo stesso Gesù Cristo il Quale così parlò loro:

 

“Miei cavalieri, miei servitori, miei leali figli, 

voi che da mortali siete diventati creature spirituali 

e mi avete cercato tanto che non posso più 

nascondermi ai vostri occhi, conviene che vediate 

una parte dei miei misteri e dei miei segreti, 

poiché le vostre imprese vi hanno condotto fino alla mia mensa dove nessun cavaliere si è più seduto 

dai tempi di Giuseppe d’Arimatea”.

 

Detto questo prese il calice e sia avvicinò a Galahad e lo comunicò.

Così fece poi anche con tutti gli altri. Infine avvicinandosi nuovamente a Galahad gli disse: “Figlio, tu che sei tanto puro, quanto può esserlo un uomo terreno, sai che cosa tengo tra le mani? [...] È il piatto nel quale Gesù Cristo mangiò l’agnello con i suoi discepoli il giorno di Pasqua. È il piatto che è servito a tutti coloro che ho giudicati miei buoni servitori [...] Tu hai dunque veduto ciò che hai desiderato e voluto vedere.

Ma non l’hai ancora visto così chiaramente come lo vedrai un giorno … nella città di Sarraz nel Palazzo Spirituale. Devi recarti in quella città e accompagnare il Santo Calice. [...] Perciò domattina andrai fino al mare e troverai sulla riva la nave dove hai preso la Spada – dallo – Strano - Budriere. E affinché tu non sia solo, condurrai con te Parsifal e Bors. Tuttavia, poiché desidero che tu non lasci questo paese senza aver prima guarito il Re Vulnerato, ti ordino di ungergli le gambe con il sangue di questa lancia: infatti è la sola cosa che lo possa guarire” .

Galahad fa come gli ha ordinato il Signore. Guarì il Re e poi partì a cavallo accompagnato da Parsifal e Bors e si imbarcò sulla nave con il Santo Graal deposto su di una magnifica tavola d’argento. Essi erano “felici di avere per il loro viaggio la compagnia di quel che amavano di più al mondo” e giunti a destinazione udirono la voce divina che li invitava a sbarcare: “uscite dalla nave , cavalieri di Gesù Cristo – disse – prendete la tavola d’argento e trasportatela in questa città, ma non deponetela a terra prima di essere arrivati al Palazzo Spirituale…”. Appena scesi a terra si accorsero che un’altra nave, a loro ben nota, stava entrando in porto: era la nave sulla quale essi stessi avevano deposto il corpo di Dendraine. Come ella aveva predetto prima di morire, il suo corpo giungeva a Sarraz per esservi sepolto.

I tre cavalieri si avviarono verso la città ma, giunti alle sue porte, la tavola d’argento cominciò a divenire troppo pesante per essere trasportata solo da loro. Vi era nei pressi uno storpio che chiedeva l’elemosina e Galahad lo pregò di dar loro una mano. Di fronte alla meraviglia dell’infermo per una simile richiesta rivoltagli, “non preoccuparti – disse a lui Galahad – ma alzati e non temere. Poiché sei guarito”. L’uomo, guarito, si alzò immediatamente, corse ad aiutare Galahad ed i suoi compagni e, lodando Dio e raccontando a tutti la Grazia ricevuta, entrò con loro in città portando la tavola del Graal fino alla sala del Palazzo Spirituale.

Fatto ciò, i tre compagni tornarono sulla riva del mare e trasportarono in città anche il corpo di Dendraine per darle degna sepoltura nello stesso Palazzo. Il re Escorant, signore di quella terra, però, saputo l’accaduto, non volle credervi e fece imprigionare i tre cavalieri ritenendoli degli impostori. Durante tutto il tempo della loro detenzione i tre cavalieri furono consolati e nutriti dalla grazia del Santo Graal che, miracolosamente, il Signore aveva fatto giungere loro.

Dopo un anno di tale prigionia il re Escorant, che nel frattempo si era ammalato gravemente, si pentì di quanto fatto e, liberatili chiese loro perdono; dopodiché morì in pace.

Gli abitanti del luogo, ispirati da una voce divina, elessero re Galahad. Egli fece in modo che il Santo Graal fosse ricoperto da un Arca d’oro e degnamente onorato. Egli stesso, ogni mattina, accompagnato da Parsifal e Bors, si recava al Palazzo Spirituale a venerarlo e a pregare.

Trascorso, in tal modo un anno, una mattina, i tre compagni videro, prostrato dinanzi alla tavola del Graal, un uomo dalle fattezze meravigliose, vestito da Vescovo e attorniato da miriadi di angeli, il quale “dopo essere rimasto a lungo in ginocchio … si alzò e iniziò la Messa della gloriosa Madre di Dio. Quando fu al mistero, sollevò la patena che stava sopra il Santo Vasello, chiamò a sé Galahad e gli disse: Vieni, … ora vedrai ciò che hai tanto desiderato vedere”. Galahad avanzò e guardò nel Vasello. Appena vi ebbe gettata un’occhiata cominciò a tremare poiché la sua carne mortale scorgeva le cose spirituali. Alzate, poi, le braccia verso il cielo, benedisse e lodò Dio, ringraziandolo di sì grande favore e lo pregò di farlo passare da questa vita all’altra in un tale stato di gioia ed estasi spirituale.

A questo punto, l’uomo vestito da Vescovo gli rivelò di essere Giuseppe, il figlio di Giuseppe d’Arimatea e di essere stato inviato da Nostro Signore per condurlo con sé. Udito ciò, Galahad abbracciò i suoi compagni, e rivoltosi a Bors gli disse: “Bors, salutate da parte mia Lancillotto, mio padre, quando lo rivedrete”. Detto questo “si inginocchiò davanti alla Tavola del Graal, recitò le sue preghiere e poi improvvisamente la sua anima si separò dal corpo, e una grande moltitudine di angeli la portò in alto nei cieli, sotto gli occhi dei suoi compagni...”.

“Quando Galahad fu morto, avvenne un fatto meraviglioso: i suoi due compagni videro distintamente una mano discendere dal cielo senza che si scorgesse il corpo al quale apparteneva. Andò diritta al Santo Vasello, lo prese, afferrò anche la lancia e li portò con sé in cielo per sempre: D’allora in poi nessun uomo poté essere così ardito da dire di aver visto il Santo Graal”.

Parsifal e Bors si recarono allora in un romitaggio e lì, l’anno successivo anche Parsifal, che nel frattempo aveva vestito l’abito religioso, morì. Bors, dopo aver fatto seppellire anche Parsifal nel Palazzo Spirituale, ove erano stati precedentemente seppelliti Galahad e Dendraine , si imbarcò e tornò alla Corte di Artù, dove raccontò a tutti le meraviglie del Santo Graal.