Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia

più che in ogni altro bene”

(Salmo 119,14)

 

 

Possiamo cogliere alcuni aspetti di quella che fu la vita di sr. Virginia successiva alla scarcerazione, da alcune sue lettere giunteci.

Come abbiamo visto precedentemente, il Cardinal Borromeo, con le monache più spiritualmente dotate dalla Grazia, soleva intrattenere uno rapporto epistolare e sollecitare le suddette monache a indirizzare, attraverso di lui, delle lettere anche a delle monache della diocesi, che si trovavano in difficoltà, onde confortarle ed esortarle a perseguire la via del bene. Di tutte queste lettere, il Cardinal Borromeo, conservava l’originale ( o una sua copia) nel suo archivio. È grazie a questo che tali lettere di sr. Virginia ci sono giunte.

Il 9 dicembre 1625, sr. Virginia ottiene, perciò, il permesso/invito a corrispondere col Cardinale. Sono passati ben tre anni dal giorno della sua scarcerazione. Tre anni di assoluto silenzio, nei quali sr. Virginia ha continuato a condurre una vita santa e penitente.

Possiamo immaginare con quale gratitudine ella accolga ora l’invito del Cardinale e con quale riverenza si accinga a scrivergli. Se poi teniamo presente, come precedentemente detto, che sr. Virginia leggeva nei voleri del Cardinal Borromeo i voleri stessi di Dio, non possiamo che pensare che ella in cuor suo abbia esclamato: “Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia più che in ogni altro bene” (Salmo 119,14), e questo non tanto per l’onore e la fiducia che il Cardinale le concedeva permettendole di scrivergli, quanto perché ciò facendo, sentiva in sé di corrispondere a quanto la divina Volontà le chiedeva.

Questo lo possiamo desumere anche dal “tono” delle sue misive.

Nella sua prima lettera inviata al Presule, dopo essersi definita “vivissima Peccatrice, meritevole ad ogni hora non sollo del castigho d’idio benedetto ma ancora essere punita da chi segue le sante vestigie celeste”, sr. Virginia si rivolge al Cardinale riconoscendolo quale “causa prima”, dopo Dio, della salvezza della sua anima. Si dichiara, inoltre, totalmente soggetta alla di lui volontà e pronta ad eseguire qualsiasi cosa egli deciderà sul suo conto. Solo, lo supplica di non privarla del conforto spirituale della di lui benedizione e delle sue parole “di vitta eterna”. “Supplico – scrive infatti - v.s. Ill.ma come motore Principale doppo la misericordia d’idio della salute mia a disponete di me quanto l’spirito santo l’inspira che paratissima son a ricevere il rimedio opportuno delle Piaghe mie sia con penitenza sia con asprezze […] Sollo si degni per amor di Cristo Signor nostro non privare al longo la anima mia del potente et Sacro agiutto che conferisce e dona ai peccatori la Benedetta vocce et celeste parole de vitta eterna che da Vostra Signoria Illustrissima et Santa Sua Benedizione procede e darmi altro flagello che costi al corpo ma non già allo spirito”.

Sr. Virginia, in questa lettera, si dimostra, dunque, totalmente “morta a sé”: umile e pentita si rimette pienamente al volere del Cardinale,riconoscendo in lui il rappresentante di Dio e, di conseguenza, nelle sue direttive, la volontà di Dio su di lei.

È sincera in quanto scrive o, come è stato anche ipotizzato, sta fingendo un’umiltà e una spiritualità che in realtà non possiede, al solo scopo di “far colpo” sul Cardinale e “riscattare” così la sua “immagine”? La “contrizione” e la “lettura di fede” delle vicende della sua vita, che ella dimostra ad ogni rigo degli scritti che ella invia al Cardinale (o, attraverso di lui ad alcune monache della Diocesi milanese), sono false e, come è stato sostenuto da alcuni, frutto di una “ben studiata e calcolata” messinscena, attuata per “ingraziarsi” il Cardinale e attirare la sua attenzione, onde soddisfare il proprio egocentrismo e il suo desiderio di “non essere dimenticata”?

Sebbene tali ipotesi non possano essere escluse “a priori” (solo Dio sa quali fossero i reali sentimenti intimi che guidavano il cuore e la mano di sr. Virginia, mentre vergava tali missive), e pur rispettando i diversi giudizi che sono stati espressi su tale argomento, a nostro modesto parere tutto ciò sembra improbabile.

Non è da sottovalutare, infatti, che, gli anni in cui sr. Virginia visse nella durissima segregazione della cella di S. Valeria (isolata e dimenticata da tutti e senza alcuna prospettiva di esserne liberata), se non fossero stati sostenuti da una fede autentica e dalla Grazia di Dio, ben difficilmente avrebbero potuto essere da lei sostenuti, senza che ella giungesse alla disperazione e alla pazzia.

Non dimentichiamo inoltre che sr. Virginia, durante il processo, era stata condannata “alla pena e alla penitenza della carcerazione perpetua […] in una piccola cella […]completamente isolata […] murata per sempre, finché avrà vita” e che, dopo la lettura di tale sentenza, era stata immediatamente murata nella cella/prigione cui era stata condannata e abbandonata a sé stessa e alla misericordia di Dio: ogni contatto umano era cessato e, per ben tredici anni, nessuna voce umana le era più stata rivolta. Fu solo per la magnanimità e l’esplicita volontà del Cardinale che ella, il 25 settembre 1622, fu “graziata” e tale “grazia” giunse a lei totalmente inaspettata e “insperata”.

Da tutto ciò, ci sembra di poter sostenere, con un sufficiente margine di sicurezza, che la corrispondenza intessuta da sr. Virginia Maria, sia quella con il Cardinal Borromeo sia quella con la monaca sopraccitata, sia una valida testimonianza della sua avvenuta conversione.