De profundis
querulo d’una religiosa che s’era fatta monaca per forza testimonianza del dramma delle monacazioni forzate
Molto “eloquente”, sulla “piaga sociale” delle monacazioni forzate (secondo la quale, molte famiglie nobili, costringevano le figlie ad abbracciare la vita religiosa, onde mantenere intatto il patrimonio), si rivela questo componimento poetico, scritto da una di queste sventurate fanciulle che, costrette a monacarsi, trascorrevano il resto della loro triste vita, tra rimorsi e rimpianti oltre che con “l’inconfessato desiderio” di veder puniti i genitori e i parenti, che le avevano condotte a questo passo. Sebbene steso con garbo e incredibile ironia, il testo rivela tutta il dramma, i rancori, e la lotta interiore che l’autrice vive in sé.
Scrive, dunque, la nostra anonima “monaca per forza” e “poetessa per vocazione”
Dunque a far questo passo io son costretta
In questi chiostri, in cui devo morire
Morirò si, ma chiamerò vendetta
De profundis
Quando giunto sarai al punto estremo,
Barbaro genitor, per dar i conti
Saprò ben dire al Giudice supremo
Clamavi
Dirò chiamai pietà, ma senza frutto
Un scoglio nel pregar, un sasso al pianto
Ma rimett'oggi il vendicarmi in tutto
Ad te Domine
Lungi lungi Signor la tua pietade,
Che non merla pietà chi tanto è fiero:
Chi di coltel ferisce, anch'ei ne cade
Domine exaudi
Alto giudice giusto, ah non udire
Di questo scellerato i prieghi indegni,
Che fu sordo ancor'ei per non sentire
Vocem meam
Quando t'invocherà ne' suoi tormenti,
Io ti priego Signor con tutto il cuore
Che sorde alle sue voci, e suoi lamenti
Fiant aures tuae
Quante volte pregai li genitori
Che ne' chiostri giammai viver volevo
Ei si finser mai sempre a' miei lamenti
Intendentes
Dissi più fiate il mio pensier solido
Al genitor, che mai volevo entrarvi,
Ma fessi sempre a' miei concetti stolido
In vocem deprecationis
Si godon oggidì per mia sventura
Tutte le mie ricchezze e miei arredi
Che son per legge antica, e per natura
Meae
Tu stato sei, e pur sempre sarai
Giusto vendicator de' falli altrui,
E so Signor, che mai perdonerai
Si iniquitates observaveris
L'invidia, li rancori, e gli odj interni,
Le gelosie, gli amor' ed i dispetti
Che si fann' oggidì viepiù moderni
Domine quis sustinebit?
Piacesse a te mio Dio, che questi stenti
Per te soffrissi, e colà su nel ciclo
La corona trovassi a' miei tormenti
Quia apud te
Delle mie doti a depredarmi intenti,
Qui mi spingon più fieri i miei più cari
Sol' oggidì fra le nemiche genti
Propitiatio est
Scendi dall'alto ciel giusta vendetta
Che tronch' il filo a lor speranze inique!
Ti scongiuro Signor per mia vendetta,
Et propter legem tuam
Non han tante ore il dì, li mesi e gli anni
Tronch' il bosco, erbe il prato, arena il mare,
Quant'ire, quanti oltraggi e quanti affanni
Sustìnui
Conforme a' tuoi già stabiliti patti
Fatti una volta per qui dentro aspetto
Che tu venghi a punir questi misfatti.
Te Domine
Se cento bocche, e cento lingue avessi
Non potrei numerar quanti martirj,
Che da' miei cari, e da parenti stessi
Sustinuit anima mea
Ho per madre una tigre, una megera
Che trasse in mezzo a' scogli i suoi natali,
Un veridico dir' invan si spera
In verbo eius
Quel simular di compiacermi in tutto
Quel dir, mio cuor, mio ben, mia figlia amata,
Quelli tradita m'hanno, e senza frutto
Speravit anima mea
Non posso più parlar, non posso dire
La mia ragion, eppu'r tutti lo sanno,
Che son sforzata, e mi convien soffrire
In Domino
Se avesser a finir questi miei guai,
Quieta vivrei, ma sono più che certa,
Che invano penso a liberarmi mai
A custodia
Mi struggo nel pensar sol al digiuno,
Con mortificazion all'astinenza
Che dovrò far senza ristoro alcuno,
Matutina usque ad noctem
Eppur sono costretta in sagro coro,
Ogni giorno con altre mie compagne,
Cantar anch'io senza sperar ristoro
Speret Israel
Voi che solete ogn'un qui consolare
Con parol lusinghier, false promesse,
Non mi parlate più dover sperare
In Domino
So ben che lungi sto senza viaggio,
Dal cammin vero della gloria eterna
Né vi credete già ch'abbi vantaggio;
Quia apud Dominum
In grembo a questi sassi, a questi lai,
Me ne vado prigion, benché innocente,
Dove niuno di me avrà giammai
Misericordia
Stendo per forza a questo passo il piede,
Quasi zoppo destrier spronato al corso,
Signor dagli di ciò giusta mercede,
Et copiosa
Non sarà la Scrittura ornai più vera,
Che per ogn'un sia morto il Redentore,
Mentre per me non è ver, e sincera
Apud eum redemptio
Credo che sian per me chiuse le porte
Del regno celestiali (Ahi fatto rio)
L'esperimenterò per mala sorte
Et ipse
Voi che sperate alfin un giorno uscire
Da queste mura, se vorrà la sorte,
E van questo sperar, e'1 vostro dire,
Redimet Israel
Oh zitelle che chiuse ancor non siete
Fuggite anch' il parlar di monastero,
Che tradite qual'io sempre sarete
Ex omnibus
Se alcun vi deve poi restar erede
Abiti vi promette, e vel di seta,
Fruttiere, e tazze d'or.
Non date fede
Iniquitatibus eius
Quel che non ho, non posso ad altri dare,
L'istinto naturai questo m'insegna
Come a' morti potrò giammai donare
Requiem
Dunque quello che ho, or tocchi in sorte
A' miei genitor' nell'altra vita
Passin da questa a più crudele morte
Etemam
Di Sisifo, di Tizio, ed Isione
II tormento più fier giunga a lor danni,
Di Dite il re nell'orrida magione
Dona eis Domine
Versi Carridi a danni loro il seno
Col nemico destin congiuri il mondo,
Mai splenda agli occhi lor giorno sereno
Et lux perpetua
E se pur luce nell'inferno ha luogo,
Nel gremb'oscuro alle tartaree pene,
La luce sol di tormentoso fuoco
Luceat eis.