Il tema dell’Islam, per svariati motivi, è molto presente nel contesto odierno e la necessità di un confronto e di un dialogo con il mondo islamico appare, conseguentemente, sempre più impellente.

L’intento di quest’articolo, che vuole essere il primo di una serie, è quello di tentare un accostamento ad alcuni aspetti che caratterizzano la Religione Musulmana, per cercare di comprendere maggiormente questi fratelli, figli anch’essi -come gli Ebrei e i Cristiani- di Abramo, che adorano un Unico Dio e, dove possibile, aprirsi ad un dialogo-confronto sulle rispettive Verità di Fede.

Infatti: “La fede in Dio –come ebbe ad esprimersi il S. Padre,  in uno dei  suoi primi viaggi in Turchia- professata in comune dai discendenti di Abramo, cristiani, musulmani ed ebrei, quando è vissuta sinceramente e portata nella vita, è sicuro fondamento della dignità, della fratellanza, della tolleranza e della libertà degli uomini”.

Premesse per un reale dialogo autentico sono: un reciproco rispetto, una reale conoscenza di sé e dell’altro, una chiara consapevolezza della propria identità, una previa ed approfondita  conoscenza sia dell’identità degli interlocutori sia dei temi in questione (chi è; cos’è e cosa desidera essere l’altro…).

 Il rischio, altrimenti, è quello del sincretismo.

Per tutti i monoteisti, ad esempio, Dio è il Dio della misericordia e della pace. Spesso, però, sono  diverse le accezioni e i significati che, a questi termini, vengono attribuiti. Questo implica la consapevole necessità di un’attenta riflessione sulle possibili convergenze o divergenze che un confronto tra Islam e Cristianesimo rivela. È fondamentale inoltre avere una giusta valutazione dell’attuale realtà islamica e dei valori da essa accettati.

Oggi abbiamo una molteplice realtà dell’Islam. Esso presenta tante sfaccettature quanti sono gli Stati che ad esso si ispirano nel governo, nelle leggi, nella cultura, nelle tradizioni. Si assiste così ad una co-presenza di scuole tradizionaliste, correnti trasformiste, gruppi rivoluzionari… Ciò, inevitabilmente, porta con sé un intricato insieme di difficoltà e problemi di intesa tanto per i cristiani quanto per i musulmani. 

Solo partendo da un autentica tensione a Dio e da una purificazione interiore, da parte di entrambe le realtà religiose sarà possibile un dialogo interreligioso che tenda  a scoprire i germi di verità presenti in ogni cultura e religione. 

Il dialogo, per essere autentico, si deve fondare sulla speranza e la carità: solo così potrà portare frutti nello Spirito di Dio. 

 

IL DIO CORANICO

L’unicità di Dio è il primo pilastro della fede coranica. 

Essendo, Dio, l’Onnipotente, l’uomo deve adorarlo sottomettendosi a Lui. Virtù principale islamica è la sottomissione fiduciosa, totale e incondizionata  a Dio. “Islam” significa sia “sottomesso”, sia “adesione alla religione musulmana”. Nell’Islam tutti i profeti sono presentati come totalmente sottomessi a Dio, abbandonati a Lui e alla sapienza infinita e inconoscibile di Dio; in un’adesione attiva alla volontà di Dio. 

Il Dio coranico è il Dio “vivente e sussistente”. Potenza e misericordia sono gli attributi di Dio più meditati dai musulmani, i quali si soffermano spesso anche sulle opere del Creato quali segni dell’agire creativo di Dio. Nel Corano Dio parla o in prima persona o col “plurale maiestatis” o alla terza persona impersonalmente. In ogni caso dà solo ordini, senza scendere mai al livello dell’uomo (siano pure i profeti) e senza avviare, con i suoi fedeli, un dialogo.

Il mistero di Dio si intravede solo nei suoi 99 nomi presentati nel Corano. Il musulmano devoto li conosce a memoria e li recita in forma litanica con l’aiuto dell’apposita corona composta di 33 grani. 

La filologia comparata insegna che circa 60 dei nomi di Dio e dei titoli coranici, hanno il loro diretto corrispondente nei dialetti semitici del sud. Una trentina sono, invece, i nomi che hanno una radice simile o parallela in ebraico, sarebbero una trentina. Questi sono i più frequentemente citati e i più importanti per la teologia.

Le corrispondenze tra gli atrributi coranici di Dio e i rispettivi termini applicati a Dio nelle  religioni bibliche si verificano attorno ai seguenti temi:Unicità di Dio

Santità e trascendenza di Dio

Creazione e sovranità di Dio

Giustizia e retribuzione

Misericordia e mitezza di Dio

Vita ed Eternità

Vi sono tre nomi che si presentano come sostantivi:

  1. Allah = “Iddio”. Di puro stampo semitico e i origine meccana. Usato più di 2700 volte. Può essere considerato, secondo i teologi musulmani, “il Nome” supremo.
  2. Rabb = “Signore di”. è sempre seguito da un pronome che lo mette in relazione con esseri creati.
  3. Al-Rahman = “Il molto misericordioso”. Usato 57 volte, soprattutto nel periodo meccano. Sembra essere sinonimo di “Allah” ma è di origine yemenita e, forse, cristiana.

Prerogativa del Corano non è, però, svelare il mistero di Dio. Gli ordini divini non danno l’impressione di voler condividere o partecipare all’uomo la conoscenza che Dio ha di Sé stesso. Dio è considerato, dalla religione musulmana, “l’inconoscibile”, senza possibilità di partecipazione umana a questa conoscenza

La “rivelazione” del Corano, fatta da Dio a Muhammad, non è da intendersi secondo il senso biblico attribuito ai testi dell’A.T. e del N.T.. Per la Religione Islamica, infatti, è stato Dio stesso a dettare, parola per parola, in perfetto arabo, l’intero testo coranico a Muhammad.

Il Corano, inoltre, non si presenta come “rivelazione nuova” o “diversa” rispetto alle precedenti rivelazioni profetiche che hanno preceduto Muhammad. Il Corano è considerato, nell’Islam, come l’ultima e perfetta Rivelazione, che non può essere tacciata di alcuna manomissione o ritocco, poiché la sua bellezza, il perfetto arabo e la sua conseguente bellezza stilistica, fonetica e letteraria, sono, per i Musulmani, sicuro criterio di credibilità e garanzia certa dell’origine divina del testo coranico.

Per i Musulmani sono stati gli Ebrei e i Cristiani che hanno falsificato la Torah e il Vangelo e solo loro, i Musulmani, possiederebbero la Vera Rivelazione ed interpretazione dei Testi Sacri.

Il Corano è, piuttosto, una manifestazione della presenza di Dio e l’espressione della Sua Volontà sul comportamento che l’uomo deve tenere nei confronti di Lui (tema del Culto) e del prossimo (tema della morale). Il Corano è una lunga meditazione su Dio Creatore e sull’uomo creatura di Dio, prendendo spunto da diversi testi biblici (che però non sono mai citati in quanto, come detto sopra, secondo i musulmani, i Testi Sacri dell’A.T. e del N.T. sono stati contraffatti da Ebrei e Cristiani).

Dal Catechismo Musulmano, a proposito dei Testi divini, si desume che Dio possiede molti libri che “ha fatto scendere”. “Far scendere” è l’espressione usuale, usata nel Corano, per indicare la rivelazione “ad litteram” fatta da Dio ai suoi profeti. Ne fanno parte: la Torah, il Vangelo, i Salmi e il Corano.

Questo è l’opposto del Dio biblico. Tanto nell’A.T. quanto nel N.T. Dio si avvicina all’uomo e gli si rivela. Nel Corano invece Dio è il Trascendente, Colui che sta al di sopra di tutti e di tutto. Di Dio, nel Corano, si afferma la Potenza, la Provvidenza e la Misericordia, ma nessuna domanda gli viene rivolta da parte umana o profetica, come invece avviene nella Bibbia. 

L’Islam  si dichiara una religione “ragionevole”, cioè a portata della ragione. Non c’è, infatti, nell’Islam, alcuna “economia di Salvezza” né, di conseguenza, alcuna Redenzione intesa in senso cristiano. Tutto si riassume nella sottomissione a Dio attraverso l’osservanza della legge coranica che sempre accessibile alla volontà umana. Nel Corano, quindi, manca il concetto di “Grazia” e la misericordia di Dio che interviene, è  indipendentemente dall’agire umano.

 

I PROFETI NEL CORANO

L’Islam si considera, però, anche una religione “della trascendenza assoluta” e una religione “profetica”. Per il Corano, infatti, Dio non abbandona nessun popolo e si preoccupa di inviare a tutti dei profeti. Muhammad è visto come “il sigillo” di questi profeti inviati da Dio, l’ultimo di una storia sacra dove il monito, continuamente ripetuto, è l’invito pressante, pena un “castigo tremendo” alla sottomissione a Dio e all’ubbidienza ai suoi messaggeri. Secondo una ripetizione ciclica, presente in ogni epoca e in ogni lingua, la storia dei profeti appare, per il Corano, come la manifestazione multiforme di un’unica religione di Dio attraverso l’epopea dei profeti stessi, visti quali testimoni privilegiati che godono dell’elezione divina, inviati a popoli ribelli per ammonirli. In ogni storia dei profeti solo una piccola parte del popolo accoglie il messaggio mentre la maggior parte schernisce il profeta e lo perseguita e subisce così il castigo divino minacciato per i miscredenti.

Al termine di ogni ciclo profetico però il profeta assapora la gioia della vittoria divina perché Dio “è colui che dà vittoria”.

In quest’ottica, di previo discernimento delle uguaglianze e delle divergenze presenti, va letta anche la formulazione conciliare Lumen Gentium, dove la partecipazione dei musulmani al disegno di salvezza è presentata come partecipazione limitata ma reale al mistero di salvezza in Cristo, attraverso anche il suo corpo (la Chiesa) nella sua specifica immagine di “popolo di Dio”. 

Il testo di Lumen Gentium 16 così si esprime: “…il disegno della Salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i musulmani, i quali, professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà, gli uomii nel giorno finale”.

La formulazione conciliare non intende le diverse affermazioni riguardanti la stessa fede in un unico Dio, creatore misericordioso  e giudice escatologico e la fede di Abramo nel senso che ad essi attribuisce il Corano e/o la tradizione islamica. Il Corano infatti: professa la fede in un Dio Creatore ma anche in una creazione continua; confessa l’unicità di Dio ma esclude il concetto trinitario; Confessa Dio come misericordioso ma rifiuta ogni attribuzione a Dio di termini quali “Padre”, “Sposo”… negando che Allah possa avere una qualsiasi comunione con l’uomo.

La fede in Abramo, professata dal Corano, inoltre, è inaccettabile per la fede biblica poiché Abramo non è un semplice “hanif”, “muslim ante litteram” . Per il giudaismo infatti, Abramo profetizza la risurrezione dei morti e intercede presso Dio affinché il sacrificio di Isacco interceda per tutto Israele.

Per il cristianesimo, poi, la fede di Abramo, contempla già il giorno di Gesù e il mistero del sacrificio di Gesù. 

Né giudaismo né cristianesimo possono dunque accettare che l’ “abramicità” del Corano e della tradizione islamica riducano in modo irrimediabilmente fatale i diversi contenuti teologici insiti nella figura di Abramo. L’ermeneutica abramitica del Corano è un’inaccettabile riduzione per il giudaismo e il cristianesimo. A parte il fatto dell’identificazione di Ismaele anziché Isacco col figlio del sacrificio, è il senso globale del sacrificio che non è accettabile perché, per il Corano, esso è “semplice obbedienza a Dio”, “rassegnazione al suo volere”

 

“ALLEANZA”: UNA POSSIBILITÁ DI CONFRONTO

Un tentativo di dialogo può essere intrapreso partendo dal termine “alleanza” (o “patto”) inteso quale categoria biblica, che esprime anche il concetto di “economia di salvezza”.

L’Alleanza è una scelta divina irrevocabile, operante alle condizioni da Dio stesso stabilite.

La Teologia biblica raccoglie le diverse manifestazioni di Dio, succedutesi nella storia ed antecedenti all’Alleanza stipulata da Dio con Mosè e all’Alleanza stabilitasi in Gesù(AT e NT), in due grandi categorie:   

- La Sapienza come rivelazione

- L’Alleanza con Noè

La Sapienza rivela la divina “creazione” come la prima delle parole divine e come tale universale ed irrevocabile. Per questo, la Sapienza, anche se può essere utilizzata per identificare la  specifica Rivelazione di Dio al popolo d’Israele, è intesa anche  come rivelazione primordiale e universale.

La figura e le vicende di Noè sono state utilizzate,  dalla tradizione biblica, come categoria per trattare del rapporto esistente tra la Rivelazione biblica e le diverse religioni e culture non bibliche.

La figura di Noè presenta infatti valori convergenti rintracciabili sia nell’Islam, che nel Giudaesimo che nel cristianesimo.

Questo ha indotto, tanto la tradizione teologica quanto il Catechismo della Chiesa Cattolica, a parlare di Noachismo.

Si trovano riflessioni sul noachismo fin dalle più antiche tradizioni giudaiche e cristiane.

Il confronto con i testi coranici e la tradizione islamica su Noè, obbliga però anche a una precisa chiarificazione delle identità storiche, culturali e religiose e, per ciò che concerne la tradizione cristiana, la necessità conseguente di tener presente, nel confronto, anche della tradizione patristica che ha analizzato le Scritture, interpretandole alla luce dello Spirito anche sul tema del noachismo.

L’Alleanza con Noè presenta una valenza teologica: nel tracciato narrativo di Gen. 1-11 (Che contiene un forte valore midrashico/teologico), la frattura dell’unità del genere umano non è lasciata a sé stessa, ma vede l’intervento divino rivolto a ciascuna delle due parti.

L’Alleanza con Noè dopo il diluvio (Gen. 9,9), esprime il principio dell’economia divina verso le nazioni, ossia gli uomini divisi in gruppi, ciascuno secondo la propria lingua e le loro famiglie. (CCC56/33)

La figura di Noè diventa significativa per il genere letterario teologico che esprime: essa con Noè è il principio dell’Economia divina per le Nazioni con esplicito riferimento alla “tavola  dei popoli” di Gen. 10, intesa nel senso globale di “tutte le Nazioni” e di “ciascuna di esse” in senso specifico. Da questo consegue che, l’Alleanza con Noè, è da intendersi come ordine ad un tempo cosmico, sociale e religioso della pluralità delle Nazioni, come “Economia provvisoria” finalizzata all’Alleanza definitiva che si realizzerà in Cristo. 

La dimensione culturale e la benedizione, connesse all’alleanza nohachica, si fondano e si costituiscono su:

1) La preghiera

2) L’assenza di qualsiasi forma di mediazione sacerdotale e sacrificale espiatoria

3) La benedizione

L’alleanza di Noè presenta però anche un limite intrinseco, in quanto il peccato, nelle sue espressioni più sintomatiche e strutturali dell’idolatria, del politeismo e dei disordini morali, costituisce una costante minaccia di perversione pagana per questa economia provvisoria.

Ciò non toglie che, il patrimonio di fede dell’economia di Salvezza presente nell’Alleanza nohachica recupera la Rivelazione “sapienziale” precedente e anticipa l’elezione di Israele e che la struttura della preghiera nell’Alleanza nohachica è caratterizzabile quale “relazione con Dio” che si esprime nei seguenti modi: Offerta dei primogeniti del gruppo: “Anche Abele offrì primogeniti del suo bestiame minuto con il 

Grasso. Jahve tenne in considerazione Abele e la sua offerta” (Gen. 4, 4)

Invocazione del nome divino: “Anche a Set nacque un figlio che chiamò Enoch. Allora si cominciò a invocare il nome di Jahve (Gen. 4, 26)

Camminare con Dio: “Egli (Enoch) camminò con Dio (Gen. 5, 24)

La “benedizione” connessa alla preghiera testimonia l’economia di Salvezza che scaturisce, per sempre, dall’Alleanza divina con Noè. Tutti gli uomini, di tutte le generazioni, sia dopo l’elezione di Israele, come dopo l’Alleanza in Cristo, possono attingere alla grazia specifica di questa benedizione attraverso la preghiera anche al di fuori dell’Alleanza – elezione di Israele e al di fuori di quella in Cristo.